mercoledì 30 aprile 2008

Matematico: l'arbritro è innocente

Poveri, poveri arbitri di calcio sempre sotto inchiesta perché non vedono questo, perché non vedono quello, perché favoriscono una squadra anziché l’altra, perché danno un rigore che non c’era, eccetera, eccetera. Ma ora c’è la scienza a schierarsi dalla loro parte: è fisiologicamente impossibile essere in grado di stabilire un fuorigioco, così come è umanamente impossibile sanzionare in eguale misura i giocatori dell’una e dell’altra squadra. Perché? Perché la natura umana non prevede la capacità di seguire contemporaneamente lo spostamento di quattro oggetti in movimento, perché la psiche umana non può essere insensibile a migliaia di tifosi che inneggiano alla propria squadra. Ma andiamo con ordine. Ecco per prime le conclusioni di un team di ricercatori inglesi dell’università di Bath: è matematicamente provato che un arbitro favorisce di più la squadra più forte di quella più debole, o la squadra che gioca in casa rispetto a quella in trasferta. I dati a riguardo parlano chiaro. Peter Dawson, a capo dello studio, ha analizzato 2660 partite della Premier League dal 1996 al 2003. È emerso che il numero di ammonizioni, di espulsioni e di rigori contro, è nettamente maggiore nelle squadre meno blasonate o in quelle che giocano fuori casa. “Le decisioni prese da un arbitro finiscono così per influenzare il risultato di una partita e per ostacolare il cammino in classifica di una certa squadra – ha ammesso Dawson. Ma perché un arbitro, pur non volendo, non ce la fa proprio a essere imparziale? Ci risponde Thomas Dohmen, dell’università tedesca di Bonn. Analogamente a Dawson, Dohmen ha passato in rassegna quasi 4 mila partite avvenute in Germania dal 1992 al 2003. Sorprendenti le sue conclusioni. Lo scienziato ha visto che negli stadi privi di pista di atletica, e quindi con il pubblico molto vicino, quando la squadra casalinga è sotto di un gol, il tempo di recupero è in media più lungo di un minuto, rispetto alle partite che avvengono in un campo circondato dall’area destinata alle gare di corsa. In questo caso entrano in gioco fattori psicologici e comportamentali con i quali ogni essere umano deve fare i conti. Volenti o nolenti diventa praticamente impossibile riuscire a rimanere impassibili innanzi alle grida di tifosi scatenati: se così non fosse l’uomo, nel corso della sua evoluzione, non avrebbe sviluppato l’abilità di salvaguardare la propria esistenza scappando da un potenziale pericolo. “Probabilmente l’arbitro è soggetto alla grande pressione dei tifosi, e non riesce più a essere completamente obiettivo – ha ammesso Dohmen. Infine c’è il tema del fuorigioco. In questo caso facciamo prima a calarci direttamente nei panni di un arbitro. Dunque: c’è da seguire la posizione della palla, quella dell’attaccante con la palla, quella dell’attaccante senza palla, e quella del difensore. Abbiamo ben quattro soggetti davanti a noi in movimento, e nell’arco di pochissimi secondi dobbiamo essere i grado di dire chi si muove per primo e soprattutto di quanto uno devia la sua traiettoria rispetto all’altro. Ebbene: è questa un’impresa pressoché impossibile da portare a compimento da qualunque essere umano. Ce lo spiega un articolo pubblicato sulla rivista inglese British Medical Journal. Gli esperti dicono che non è possibile stabilire correttamente un fuorigioco per tre motivi: perché siamo dotati di un campo visivo limitato (massimo 120 gradi), perché al cervello occorrono almeno 160 millisecondi per elaborare correttamente delle immagini in movimento, perché la cosiddetta “distorsione prospettica” finisce per dettare al cervello una posizione che non corrisponde alla realtà. Da tutto ciò ricaviamo che forse non è sempre colpa di un arbitro quando sbaglia, ma della natura umana. Per tale motivo in molti accarezzano da sempre l’idea di avere un domani in campo delle speciali telecamere o dei robot, in grado di arrivare là dove l’uomo non può fisiologicamente arrivare.

(Pubblicato su Libero l'8 febbraio 07)

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