sabato 27 giugno 2009

La tecnologia? Fa perdere tempo e soldi

Tecnologia sì, ma fino a un certo punto. Stando infatti alle dichiarazioni di esperti della società texana Day–Timers, oggi, paradossalmente, la tecnologia anziché velocizzare il lavoro, lo rallenta. Secondo gli esperti, nel 1994, i lavoratori portavano a termine in media tre quarti del lavoro quotidiano, mentre oggi si arriva al massimo a due terzi. Il 60% dei lavoratori dice di sentirsi sempre in affanno e di aver paura di non fare in tempo a chiudere con il lavoro della giornata. La ricerca mostra che nel 1994 si riteneva produttivo l’83% delle persone. Oggi solo il 51%. “Siamo abituati a pensare alla tecnologia come a un sistema che ci permette di lavorare sempre di più e meglio – spiega Maria Woytek, manager della Day–Timers -. Ma paradossalmente, tenuto conto di ogni aspetto legato alla giornata lavorativa, la produttività risulta minore rispetto a quella di un tempo”. I motivi di questo fenomeno? Secondo gli esperti l’uomo moderno è sempre più soggetto al cosiddetto “multitasking”, ossia la volontà di cimentarsi contemporaneamente in più compiti diversi. Un atteggiamento che, alla lunga, anziché incrementare la produzione, la riduce. Oggi siamo circondati da pc sempre più veloci, internet, cellulari, posta elettronica. Gli studiosi della Day–Timers stimano che in media riceviamo ogni giorno 46 email. Un fatto impensabile dieci anni fa. Ma non è l’unico. Pensiamo al tempo trascorso a navigare in Rete; a rispondere a un messaggino sul telefonino; a una chiamata al telefono fisso. Non ci rendiamo conto, ma per assecondare tutti questi input tecnologici, alla fine sprechiamo tantissimo tempo, a discapito del lavoro. Dice John Challenger, a capo dello studio: “Non siamo mai concentrati su un solo lavoro, ma su più azioni contemporaneamente. Così diventa davvero difficile concludere qualcosa come si deve”. Edward Hallowell, psichiatra dell’Harvard Medical School, dice che a causa della troppa tecnologia non solo si produce meno, ma ci si stanca anche di più. Lo studioso ha identificato il cosiddetto deficit di attenzione caratteristico (ADT) che, a suo avviso, sta raggiungendo una vasta diffusione nelle aziende. Si tratta di una condizione indotta dalla vita moderna, in cui si è così impegnati a gestire input e output da diventare sempre più distratti, irritabili, impulsivi, stanchi e, nel lungo termine, improduttivi.

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