mercoledì 30 giugno 2010

Denti perfetti a ogni età

La ricrescita dei denti anche in tarda età è una prerogativa dei vertebrati inferiori, animali come i pesci e gli anfibi. Nei vertebrati superiori si hanno invece i denti da latte e poi quelli definitivi dell’età adulta che, una volta persi, non vengono più sostituiti. Ora, però, dei ricercatori finlandesi stanno pensando di mettere in atto una tecnica che potrebbe consentire anche all’uomo di poter godere di una dentatura splendente a ogni età. Per il momento le ricerche sono state compiute solo sui topi, mammiferi come l’uomo, appartenenti ai vertebrati superiori e come tali quindi contraddistinti da una dentatura che si rinnova al massimo due volte in una vita. Gli studiosi hanno attivato in un gruppo di roditori la via del segnale “Wnt”, una della vie principali impiegate dalle cellule per comunicare durante i processi di sviluppo embrionale. E in questo modo s'è visto che in alcuni topi in là con l’età è possibile far crescere ex novo dei molari. In particolare in un esemplare ne sono cresciuti addirittura una decina. I denti derivanti dalla attivazione del segnale “Wnt” sono sostanzialmente simili a quelli che caratterizzano la seconda dentizione dell’età adulta: le uniche differenze riguardano la corona che anziché avere la tipica forma a cuspide è semplice e conica. Lo studio divulgato sulle pagine della rivista Proceedings of the National Academy of Sciences è stato condotto da scienziati dell’Università di Helsinki. Con loro hanno collaborato anche membri delle università di Tokio e Berlino. Gli scienziati hanno preso spunto dai vertebrati inferiori e, in effetti, hanno potuto constatare che il risultato ottenuto nei mammiferi è assolutamente riconducibile a ciò che avviene in molte specie di pesci e anfibi: dall’esame delle colture tissutali ricavate è emerso che i denti dei topi derivano da una germinazione a partire dai denti sviluppati precedentemente, esattamente come avviene nei vertebrati inferiori. Prospettive future? Senz'altro quella di vedere se l’attivazione del segnale “Wnt” sarà efficace anche per l’uomo. Se così fosse saremmo a una svolta: quella che consentirebbe di vincere malattie come la piorrea e la relativa caduta dei denti.

martedì 29 giugno 2010

Il simbolo della sperequazione ambientale e morale del mondo contemporaneo

Frank Fenner
L'altra sera alla Fata Verde si parlava di economia e delle difficoltà che si hanno a dare vita a una società equilibrata ed egualitaria. Molti sostengono che sia un'utopia, io invece continuo a essere convinto del contrario. Certo, sono necessari degli sforzi, partendo innanzitutto dal popolino, che critica ma non fa autocritica, consuma e non risparmia, insomma, predica bene ma razzola male. Così si crea un ulteriore divario fra la "metà degli obesi, e la metà degli affamati", che prima o poi (come dice in questi giorni il microbiologo Frank Fenner) ci si ritorcerà contro, portando l'uomo sull'orlo dell'estinzione. Domenica l'ennesima illuminazione: l'egregio articolo pubblicato sul Sole scritto da Stanley Ulijaszek, antropologo dell'Università di Oxford. Anche lui punta sulla necessità di una società più adulta e consapevole, che ragioni a 360 gradi, non guardando solo al proprio orticello di casa, l'unico modo per superare la crisi ed evitare i prossimi patatrac economici. Detto ciò in molti prevaricano il mio pensiero associandolo a quello di un politico esasperato, in realtà il mio approccio non è affatto politico, ma filosofico. Il discorso infatti è più ampio, e concerne anche l'innata aggressività umana associata alla giusta dose di competitività, argomenti appannaggio delle scienze umanistiche o semmai della biologia evoluzionistica: un tempo queste prerogative umane consentivano all'uomo di evolversi, permettendogli di avere la meglio sulle altre specie; se l'uomo non fosse stato adeguatamente aggressivo e competitivo oggi non ci sarebbe più. Paradossalmente però queste stesse prerogative sono quelle che stanno mandando a rotoli l'umanità, che portano l'uomo a sfruttare le risorse altrui e quelle del pianeta senza cognizione. (E l'Inter a vincere Champions, Scudetto, e Coppa Italia in un colpo solo!). Soluzioni? È la domanda che mi ha posto il mio amico Mauro, quando però era ormai troppo tardi per rispondere (e forse è stato meglio così): era già notte fonda e l'indomani tutti ci saremmo dovuti alzare presto per andare al lavoro. In ogni caso l'articolo di Ulijaszek può essere utile proprio a questo scopo. Lo riporto integralmente cogliendo l'occasione per inaugurare una nuova voce di Spigolature: filosofia (e scienza).


Poche statistiche condannano moralmente i sistemi politici ed economici del mondo come quelle che rivelano la coesistenza di fame e obesità mentre l'intera popolazione avrebbe abbastanza cibo se fosse equamente accessibile. Si può pronunciare una condanna morale simile nei confronti dei sistemi che mirano a controllare le risorse energetiche mondiali per alimentare una crescita economica insostenibile per l'ambiente. Entrambi i fenomeni sono collegati in maniera sistemica, in quanto squilibri nel flusso di energia. Al livello dell'individuo, produce malattie associate alla denutrizione e alla sovra-alimentazione; a quello dello stato-nazione, lo sfruttamento dell'ambiente porta a una ricchezza insostenibile. Entrambi i livelli sono importanti, ma qui vogliamo soffermarci sull'idea di omeostasi e di equilibrio energetico che sottende le diverse concezioni di salute nutrizionale e ne spiega la fisiologia. È insita nella scienza ormai secolare della bioenergetica.
L'alimentazione e l'attività fisica sono fortemente implicate nel regolare il peso corporeo, meccanismi fisiologici omeostatici ci difendono dai cambiamenti nell'equilibrio energetico che la nostra fisiologia raggiunge più facilmente in un mondo dove il cibo è meno accessibile. In questo caso, il deficit energetico porta all'inizio a una perdita di peso, ma l'equilibrio viene ricalibrato a livelli inferiori di entrate e di spese energetiche, attraverso una gamma di adattamenti fisiologici, comportamentali e nutrizionali che tutelano composizione e dimensioni corporee. Nel caso di cibo abbondante, esistono solo debolissimi meccanismi omeostatici per tornare all'equilibrio e di solito ne consegue un aumento sia di peso che di dimensioni. Nel corso dell'evoluzione, i periodi di carestia o di risorse adeguate saranno stati più frequenti di quelli dell'abbondanza e non sorprende che l'omeostasi - il mantenimento della stabilità delle condizioni biologiche interne - disponga di meccanismi meno potenti per affrontare l'eccesso. In natura, grossi predatori approfittavano della minor mobilità che deriva da un accumulo eccessivo di grassi. Perciò l'obesità è un fenomeno recente, specifico degli esseri umani - e dei loro animali domestici - da quando sono stanziali e in particolare da quando si avvalgono della produzione sempre meno costosa dell'agricoltura post-industriale, e della meccanizzazione recente della vita quotidiana.


C'è una discordanza tra le due teorie dell'obesità. Sarebbe dovuta, dice la teoria fisiologica prevalente, a uno sconvolgimento dell'omeostasi, mentre secondo la teoria evoluzionistica, sarebbe una resistenza all'entropia (la generazione di una massa maggiore con l'aumento dell'organizzazione e delle energia disponibile) in assenza di predatori che minaccino gli esseri umani. In medicina, il principio omeostatico è precedente alla filosofia socratica, infatti discende direttamente dalla dottrina dell'equilibrio tra proprietà opposte. La teoria degli umori, di elementi dissimili e opposti che si controbilanciano, deriva da Ippocrate ed è stata alla base della medicina occidentale fino all'Illuminismo. Nel Settecento l'anatomia e la fisiologia che avrebbero definito le strutture e le funzioni corporee normali nacquero dalla ragione scientifica e dall'osservazione diretta. Da quel momento la diagnostica si basò sempre di più sulla conoscenza della patologia e delle deviazioni dalla norma, eppure la nozione di equilibrio tra gli opposti non scomparve del tutto. È riemersa a proposito della prevenzione di malattie croniche, della gestione del diabete a insorgenza in età matura e della sindrome di Turner, e soprattutto dell'obesità: per evitarla, l'energia tratta dal cibo deve corrispondere a quella spesa per il mantenimento delle funzioni corporee, per la riproduzione e per l'attività fisica. Se l'omeostasi s'innesca facilmente in situazioni di carestia (come nel corso dell'evoluzione), in situazione d'abbondanza come quella recente, l'obesità risulta dallo squilibrio tra energia assunta e spesa, e anche tra il desiderio di consumare e il bisogno di controllare i consumi per evitare un eccesso di grasso. Quando il discorso sull'equilibrio energetico è inquadrato in questi termini di responsabilità individuale, è facile che emerga una cultura del biasimo e di stigmatizzazione.
L'obesità potrebbe dipendere dal fatto che una volta raggiunta la sicurezza alimentare, ci siamo messi a mangiare non per fame, ma per un piacere che è sia sociale e culturale che individuale e neuropsicologico. Se è così, l'appello a limitare l'energia in entrata e in uscita rischia di non essere ascoltato, perché intuitivamente non sembra buona biologia. È vero che facciamo molte cose biologicamente sbagliate, e il corpo percepisce facilmente un equilibrio in condizione di abbondanza. Durante l'evoluzione la strategia di massimizzare le entrate e minimizzare la spesa energetica ha favorito una complessità biologica crescente e il cervello, invece di attivarsi per controbilanciarle, è in combutta con il resto del corpo per accrescere massa e ordine, sia nell'individuo che nella popolazione. Oggi controlliamo la nostra riproduzione e trasferiamo il surplus energetico nei grassi del corpo invece che in un maggior numero di figli come avveniva nel mondo premoderno.
Il nostro corpo non è l'opera di un macchinario prevedibile che risponde automaticamente a una mente razionale al controllo di tutto, bensì un'opera in corso che emerge da processi continui, dinamici all'interno di particolari contesti sociali e ambientali. Un approccio dualistico, cartesiano, nel quale la funzione fisica prevale sui processi vivi dell'evoluzione non aiuta a capire il fenomeno dell'obesità perché gli manca l'anello teorico costituito dall'idea di energia, nel senso comune e scientifico del termine. Se consideriamo l'equilibrio energetico come una pratica quotidiana, e non solo come un costrutto intellettuale, possiamo esplorare le spinte culturali che stanno dietro ai comportamenti alimentari e all'attività fisica. Possono essere principalmente sensorie (lo scopo è di provare piacere), sociali (lo scopo è di essere accettato dal gruppo) o estetiche (un intervento per contrastare i cambiamenti nella forma corporea durante la vita). Contano i flussi energetici sia culturali che biochimici, ma si basano su esperienze e su principi diversi.
In un certo senso potremmo dire che la scienza della bioenergia sta entrando in un mondo post-illuminista che per alcuni aspetti assomiglia a quello pre-illuminista nella sua costruzione aristotelica del corpo. Gli assomiglia anche nella multidisciplinarietà degli addetti che cercano di risolvere complessi problemi di squilibrio energetico, come l'obesità e i cambiamenti climatici, ai quali aveva contribuito l'approccio cartesiano. Ma oggi i ricercatori dispongono di nuove tecnologie e del senno di poi.

Stanley Ulijaszek e Caroline Potter
Fonte: Sole 24 Ore

Il segreto per un matrimonio felice è scritto nel nostro sangue


Ieri dicevamo che un buon matrimonio ha il potere (indirettamente) di contrastare l'effetto serra. Oggi, dunque, torniamo a parlare del settimo sacramento in seguito a una notizia che giunge dal Giappone: sempre più persone si sposano guardando al gruppo sanguigno del partner. Fantascienza? Non proprio. In Sol Levante sono, infatti, usciti numerosi testi relativi alle combinazioni "sanguigne" più idonee per il successo della coppia. Qualcosa che prima veniva egregiamente assolto da manuali di astrologia e chiromanzia e che oggi invece sembra ad esclusivo appannaggio della biologia. Prima le superstizioni, oggi la (pseudo)scienza. Per esempio da queste guide emerge che i maschi con gruppo sanguigno A sono gli uomini ideali da sposare perché particolarmente sinceri e affidabili. Altre loro doti: la calma, la serenità e la lealtà. Il gruppo sanguigno A compare sulla Terra nel momento in cui gli uomini primitivi cambiano le loro abitudini di vita, cominciando a costruire e diventando più sedentari. Ciò avviene circa 15mila anni fa. Al contrario non sarebbero molto "affidabili" quelli col gruppo sanguigno B, pieni di charme, ma insofferenti alle regole e alle relazioni durature. Sono anche più intraprendenti, curiosi, e dispersivi degli appartenenti al gruppo A. Il gruppo sanguigno B compare circa 10mila anni fa, alle pendici dell'Himalaya, fra Pakistan e India. Un buon partito, invece, i possessori di gruppo sanguigno 0, l'universale, ritenuti dagli esperti sicuri di sé e impavidi, ma anche comprensivi, generosi e ottimisti. Affidabile in parte chi è contrassegnato dal gruppo AB, a metà strada fra i fedeli del gruppo A e gli "anarchici" del gruppo B. Finita qui? Niente affatto. Stando, infatti, alle cronache del Sol Levante si scopre che il gruppo sanguigno sta avendo sempre più importanza anche in ambiente lavorativo, laddove con il tradizionale curriculum viene ora chiesto anche il referto ematologico. Alla BBC s'è fatto avanti un portatore del gruppo B, al quale - al momento dell'assunzione - è stato domandato a quale gruppo appartenesse. L'uomo è letteralmente sceso dal pero, prima di sbigottire venendo a sapere che il responsabile delle assunzioni - una donna - aveva avuto una disavventura sentimentale con un B e che dunque era poco propensa a ingaggiare i portatori di questo gruppo sanguigno. Poi, però, le cose sono andate bene comunque e l'uomo ha ottenuto il posto di lavoro. Tecnicamente la cosiddetta dottrina dei gruppi sanguigni viene detta "ketsukigata". L'argomento viene affrontato per la prima volta nel 1916 dal medico giapponese Hara Kimata, poi però cade nel dimenticatoio. Ritorna in auge nel 1971, quando il giornalista Masahiko Nomi pubblica il libro "Ketsuekigata de waraku aisho", testo che ha da poco raggiunto la 240esima ristampa. L'idea del legame fra gruppi sanguigni e personalità è dunque ritenuta attendibile dal 70% dei giapponesi. Se da noi si suole chiedere "di che segno sei?", in Giappone va invece la domanda "di che gruppo sei?". Dalle ricerche è anche emerso che i gruppi sanguigni non sono equamente distribuiti nel mondo, e che quindi in qualche modo caratterizzerebbero le popolazioni in modo differente. S'è visto per esempio che negli USA domina il gruppo 0, mentre in Giappone prevale il gruppo A: tutti i membri della famiglia reale appartengono a questo gruppo. Dal punto di vista prettamente scientifico c'è chi ride sotto i baffi innanzi alla "ketsukigata". Lo psicologo Omura Masao, per esempio, professore di psicologia presso la Nohin Daigaku, dice che i giapponesi si servono di questo stratagemma semplicemente per ottenere una certa diversità, essendo un popolo piuttosto omogeneo, con pochi tratti fisici distintivi. A questa stregua, infine, andrebbe valutato anche il fattore RH o fattore Rhesus, riferendosi alla presenza di un antigene sulla superficie dei globuli rossi. Il riferimento è a tre determinanti antigenici: C, D, E. Il D contraddistingue l'85% della popolazione umana. In questo caso si parla di Rh+, ossia Rh positivo, in tutti gli altri casi di Rh negativo.

domenica 27 giugno 2010

Il matrimonio? Nuova arma contro l'effetto serra


Si relega spesso la questione "divorzio" alla politica, laddove la sinistra spalleggia da sempre la divisione definitiva fra coniugi che non ne vogliono più sapere del vecchio partner, mentre la destra - più legata ai concetti di famiglia, patria e religione - è più propensa a salvaguardare "la santità del matrimonio". In realtà scopriamo che, negli ultimi tempi, anche la sinistra si sta promuovendo per cercare in tutti i modi di declassare divisioni e divorzi. Il motivo? L'ambiente. Stando infatti alle statistiche di più gruppi di scienziati, il numero spropositato di coppie che si dice addio sta raggiungendo cifre più che ragguardevoli, andando a pesare gravemente sulle sorti del pianeta. Il motivo è semplice: le coppie che si sfasciano finiscono per consumare molto di più di quelle che decidono di rimanere sotto lo stesso tetto, e in questo modo - magari senza pensarci - adottano un sistema di vita tutt'altro che ecosostenibile. Veniamo al dunque. Negli USA i divorziati consumano 73 miliardi di kilowattora di elettricità e 627 miliardi di galloni d'acqua (un gallone corrisponde a circa 4 litri) che potrebbero essere risparmiati se si mantenesse integro il matrimonio. A causa delle separazioni vengono occupate 38 milioni di case in più con tutte le spese che ne derivano: illuminazione, riscaldamento, sistema idraulico. Come è noto un frigorifero consuma la stessa energia che sia utilizzato da una famiglia di cinque persone o da una sola. A fare esplodere la miccia è stato l'ambientalista per eccellenza Al Gore (nella foto), autore del celebre "Inconvenient Truth", che divorziando ha suscitato le ire di mezzo mondo. In prima linea c'è L'Huffington Post, blog progressista che per primo ha divulgato la notizia del crac fra Gore e la moglie Tippi. In ogni caso le soluzioni sono ben poche. Dicono infatti gli esperti che l'esempio di Al Gore verrà seguito da sempre più persone, in particolare dai cosiddetti baby-boomers, i figli del benessere post-bellico, ben poco attrezzati per far fronte ai disagi della vita a due: se le cose non vanno, anziché metterci delle toppe, meglio dargli un taglio. Questa la loro filosofia, che piaccia o meno, maturata dalle esperienze trasgressive ed edoniste dell'epoca del "sessantotto". Le statistiche d'altronde sono brutali ovunque. In Italia - considerando separazioni e divorzi si è poco oltre il 10% - ma in USA si è già arrivati al 50% delle coppie che si dicono ciao per sempre. Segue a ruota la Germania con il 35%. Eppure in USA erano il 5% durante gli anni Settanta. Un recente studio effettuato dagli esperti della Michigan State University rivela che nelle abitazioni dei divorziati o dei single la spesa pro-capite per l'energia è decisamente superiore alla media. Chi vive solo deve accollarsi infatti una spesa di 6,9 miliardi di dollari (4,7 miliardi di euro) per l'energia e 3,6 miliardi di dollari (2,45 miliardi di euro) per l'acqua. Da oggi dunque la lotta all'effetto serra non dovrebbe più riguardare solo l'impiego eccessivo di automobili, le emissioni industriali, i degassamenti naturali che avvengono in prossimità dei vulcani, lo scioglimento del permafrost, ma anche un aspetto molto più banale della nostra quotidianità: il rapporto con la nostra dolce metà.

sabato 26 giugno 2010

Dai 3 ai 13 minuti. Il tempo ideale per un rapporto sessuale


Sempre più spesso sentiamo parlare di coppie famose che si abbandonano a performance erotiche dalla durata illimitata: fece scalpore qualche tempo fa Sting, quando disse che lui e la sua partner possono anche fare l'amore per sette ore di fila. Così facendo però illudono la massa, inducendo a credere che solo a pochi è consentito di vivere il sesso nel modo migliore. In realtà, uno studio pubblicato oggi sul Daily Mail, rivela che la durata ideale di un rapporto sessuale è dieci minuti. I test mettono in luce che, in media, un rapporto sessuale dovrebbe durare dai tre ai tredici minuti: quando si passano i dieci minuti, infatti, per molte persone comincia a diventare una specie di sacrificio. Eric Corty e Jenay Guardiani - a capo della ricerca - hanno condotto un sondaggio su cinquanta membri della Society for Sex Therapy and Research comprendente psicologi, medici, assistenti sociali, terapisti matrimoniali che, complessivamente, hanno seguito nelle loro carriere, migliaia di pazienti americani e canadesi. È stato chiesto loro di indicare la durata ideale di un rapporto sessuale sulla base delle numerose dichiarazioni ricevute nel tempo. Risultato: l'amore che dura sette minuti è stato definito "adeguato", quello che dura fra sette e tredici minuti "auspicabile". Tutti d'accordo infine nel dire che oltre i tredici minuti è "troppo lungo" e "troppo corto" quando è fra uno e due minuti. "La cultura popolare ha fatto credere che un buon rapporto sessuale debba necessariamente durare il più possibile", spiega Eric Corty, della Penn State University. "Molti uomini e donne, infatti, sembrano godere all'idea di un rapporto che non finisce più. In realtà questo studio afferma il contrario e ha dunque come fine quello di incoraggiare le persone a intraprendere l'attività sessuale con più realismo, senza farsi condizione dalle voci che circolano". Conclude Alex McKeay ricercatore del Consiglio Canadese di educazione e informazione sessuale, secondo il quale "tutte le generalizzazioni riguardanti l'adeguata durata dell'amplesso dovrebbero essere prese con le pinze: non è infatti il tempo che definisce un rapporto ma la sua qualità".

venerdì 25 giugno 2010

Lotta alle frane con un nuovo strumento del Politecnico


Intervista a Cesare Alippi, a capo del progetto Prometeo

Parliamo del vostro ultimo progetto per salvaguardare il territorio dalle frane. In che modo sensori e pannelli fotovoltaici consentono di “diagnosticare” lo stato geologico delle pareti a rischio?
Utilizziamo sensori tradizionali e innovativi. I primi - estensimetri e inclinometri - valutano l'eventuale allargamento di fessure preesistenti e variazioni di inclinazione, sintomi di una dinamica macroscopica della parete sotto osservazione. I secondi invece – accelerometri di nuova generazione (tecnologia integrata su silicio MEMS) e geofoni – consentono “la lettura” di onde microsismiche generate da microfessure, formatesi per esempio a causa dell'azione gelo-disgelo. Si acquisiscono duemila dati al secondo. Infine i pannelli fotovoltaici permettono agli strumenti di avere una loro autonomia anche in situazioni di stress energetico o in caso di pioggia.
Come sono andati i primi test condotti a Lecco, presso il Monte San Martino?
Ottimamente. Il sistema è entrato in azione senza problemi. Nel momento in cui i miei bravissimi ingegneri hanno attivato il sistema, i dati hanno iniziato a fluire. A più di un mese di distanza dai primi test possiamo dire che il sistema funziona al meglio: abbiamo ottenuto migliaia di informazioni significative, ora in fase di studio.
Sono previsti altri test?
Sono previste nuove uscite con i Ragni di Lecco per valutare l'azione di urti indotti da massi che, inducendo microterremoti, possono creare falsi positivi.
Quando il nuovo sistema potrebbe essere distribuito su larga scala e consentire al meglio il controllo delle zone più “calde”?
Immediatamente. Il sistema è più che un prototipo. È un complesso meccanismo di acquisizione di dati idrogeologici altamente ingegnerizzato. I prototipi hanno una vita troppo breve. Per avere un sistema credibile era necessario compiere un salto quantitativo, oltre che qualitativo; e qui è stata assai preziosa la collaborazione della Resen, start up incubata dal Politecnico di Milano.
Attualmente come viene monitorato il rischio frane?
Con segnali geodinamici tradizionali che fluiscono verso la sala di monitoraggio. È una fase che non deve essere sottovalutata, rappresentando l'ultimo anello della catena verso la realizzazione di modelli predittivi in grado di fornire uno stato di rischio specifico associato al crollo. Solo terminata questa fase di ricerca e studio potremo capire come comportarci per non generare inutili allarmismi.
Perché i satelliti non sono altrettanto efficaci?
Per vari motivi. C'è un problema di visibilità: il satellite ha difficoltà a valutare le pareti verticali. Ci sono poi dei limiti legati alla frequenza di acquisizione dei dati: nel migliore dei casi avremmo un'immagine al mese, troppo poco per predire fenomeni rapidi come le frane. Infine c'è il fattore risoluzione: con le tecnologie satellitari attuali predire lo spostamento di un millesimo di millimetro in una roccia è pura fantascienza.
Cosa possiamo dire di Robotclimber, il robot scalatore approntato dall'ESA, in grado di evitare frane e smottamenti?
Beh, è un bellissimo progetto. Il robot pesa però quattromila kg: vorrei proprio vederlo all'opera su pareti di qualche centinaio di metri come il San Martino. Ma non è questo il punto. Il robot ha come obiettivo il consolidamento delle pareti rocciose, non lo studio dei fenomeni di crollo. E poi, non ha il cuore e la bravura dei Ragni, i "maglioni rossi della Grignetta"...
L'Italia è una delle nazioni europee più sensibili al fenomeno delle frane. L'effetto serra potrebbe peggiorare la situazione?
Difficile dare una risposta per uno scienziato. I cambiamenti climatici potrebbero (e uso volutamente il condizionale) influenzare le dinamiche associate a fenomeni di crollo, ad esempio attraverso un aumento delle precipitazioni atmosferiche. Per contro, però, un innalzamento delle temperature porterebbe a ridurre il fenomeno del gelo-disgelo, alla base di frane e smottamenti.
Quali sono le zone più soggette al fenomeno franoso?
Tutto l'arco alpino e appenninico è soggetto a frane. Per quanto riguarda i crolli più significativi avvenuti in provincia di Lecco, possiamo citare la frana del 1969 della parete sotto osservazione (con sette vittime) e il blocco di una settimana della SS36 (interruzione della viabilità da e per Sondrio) quest'anno.

giovedì 24 giugno 2010

Il calcetto tiene lontano l'osteoporosi


Per molti uomini è un vero sfogo settimanale e guai a toccargliela: la partita a calcetto. Ora, però, c'è anche uno studio a sottolineare l'importanza di quest'abitudine. Arriva dai ricercatori dell'Università di Copenaghen, secondo i quali la partitella a cinque è un vero e proprio antidoto contro l'osteoporosi. La malattia colpisce più frequentemente le donne, ma riguarda anche una buona fetta di uomini in là con gli anni. Lo studio danese ha messo in luce che chi gioca periodicamente a calcetto corre meno rischi di ammalarsi di questa patologia ossea. Per arrivare a queste conclusioni Peter Krustrup, a capo dello studio, ha sottoposto per alcuni mesi un gruppo di donne a un allenamento di calcio due volte alla settimana: alla fine dei test s'è visto che le giocatrici mostravano un incremento della densità ossea delle tibie e un maggiore sviluppo dei polpacci e della muscolatura. In più il ricercatore ha analizzato le caratteristiche muscolari di over 65 che avevano giocato a calcio a livello amatoriale per gran parte della vita, mettendole a confronto con quelle di trentenni, senza evidenziare differenze. In ogni caso il calcio - fino a metà anni Duemila - al primo posto nelle preferenze sportive, passa in secondo piano: adesso c'è il fitness. Un test compiuto su 24mila famiglie ha messo in luce che ginnastica, aerobica e cultura fisica, riguarda 4 milioni 320mila persone. A seguire i calciatori, 4 milioni e 152 mila e i nuotatori, con 3 milioni e 576mila praticanti. In caduta libera il tennis e gli sport invernali. Colpa della crisi?

mercoledì 23 giugno 2010

Dagli Inuit il segreto per vivere cent'anni


Non muoiono quasi mai di infarto e ictus, i loro capelli rimangono folti e neri fino alla morte, e in più sono sempre di buonumore. Sono gli Inuit, ovvero gli eschimesi, da diversi anni al centro dell’attenzione di studi condotti da team scientifici internazionali, che cercano di risalire alla base delle loro caratteristiche fisiologiche per poter ricavare nuove cure e tecniche di prevenzione di cui tutti possano beneficiare. Gli Inuit, popolazione dell’America settentrionale di circa 40 mila individui stanziata sulle coste artiche dell’America e nella penisola dei Čukči in Asia, devono la loro salute di ferro in gran parte all’alimentazione, spiegano i ricercatori delle Università di Harvard e di Tromso, in Norvegia. La loro dieta, basata principalmente sul pesce, determina l’accumulo dei cosiddetti grassi omega–3, che hanno in pratica il potere di mantenere giovani le arterie: gli esperti hanno verificato che in media l’apparato circolatorio di un europeo o di uno statunitense di 30 anni, corrisponde a quello di un eschimese di 50 o 60 anni. Tanto per intenderci il rapporto con gli italiani per consumo di pesce è di 15 a 1; essi consumano annualmente e individualmente quasi 150 chili di pesce, gli italiani a malapena 10 chili. Si stima per questo che il rischio degli eschimesi di sviluppare malattie cardiache e dei vasi è di circa 10 volte inferiore a quello delle popolazioni europee. Gli omega–3 sono specificatamente in grado di abbassare il livello dei trigliceridi nel sangue, fattore di rischio per l’aterosclerosi, di esercitare un’azione antiaggregante piastrinica, che contrasta il rischio di trombosi, e sembra intervenire anche nella riduzione della pressione arteriosa. Studi recenti hanno inoltre dimostrato il loro potere nel tenere sottocontrollo il numero dei battiti cardiaci, le reazioni infiammatorie, malattie come l’asma e l’artrite reumatoide, e addirittura i tumori. Per quanto riguarda la depressione gli eschimesi si può dire che non sappiano neanche cos’è in quanto gli omega–3 favoriscono la vitalità delle cellule del sistema nervoso, stabilizzando il tono dell’umore. Ultima qualità sorprendente degli Inuit è quella di invecchiare con tanti capelli, e soprattutto di non aver bisogno di tinte per contrastare l’imbiancamento. Qui la loro fortuna è quella di essere contraddistinti da una eccezionale ricchezza in melanima. Tra gli alimenti infine più ricchi di grassi omega–3 si ricordano il salmone, lo sgombro, le sardine, le aringhe, le alici, il tonno, ma anche le noci e l’olio di semi di lino. Il pesce è oltretutto consigliato in quanto le sue proteine sono di ottima qualità, contengono abbondanti quantità di aminoacidi essenziali e sono molto digeribili ad ogni età. Le specie ittiche e i frutti di mare sono contraddistinti in generale da un quantitativo minore di grassi e calorie a parità di peso rispetto alle carni di manzo, pollo e maiale. Il contenuto di grassi del pesce varia in base alla specie e alla stagione. I crostacei e il pesce bianco (merluzzo, gamberetti, sogliola) contengono pochissimi grassi; meno del 5%. Il grasso nei pesci che ne sono più ricchi, varia tra il 5 e il 25%; sardine e tonno (5-10%), aringhe, acciughe, sgombri, salmone (10-20%) e anguilla (25%).

martedì 22 giugno 2010

"Waze" disegna la strada maestra


Ingorghi, incidenti, lavori in corso. Presto potranno essere evitati seguendo le indicazioni di Waze, la prima piattaforma gratuita che fornisce informazioni in tempo reale sulle strade. L'applicazione è disponibile per una svariata serie di piattaforme (iPhone, S60, Windows Mobile, Android). A breve lo sarà anche per BlackBerry. In pratica il nuovo strumento hitech è in grado di conciliare mappe GPS e dimensione social: tutti possono, infatti, contribuire all'aggiornamento costante della mappe stradali. Basta digitare “Report event” e segnalare tutto ciò che si vuole: una pattuglia di polizia, una coda improvvisa, un camion che ha perso del materiale. Si possono aggiungere anche delle foto, così da far sapere agli altri utenti nei dettagli cosa sta accadendo lungo un determinato tragitto. Ogni utente possiede un suo account, e può scegliere di far sapere chi è e come sta o rimanere anonimo e non dare indicazioni di sé. È possibile selezionare la visualizzazione 2D o 3D, se avere luce diurna o notturna, informare gli “amici” di Twitter dei propri spostamenti. Waze consente inoltre di riconoscere il senso di marcia di una carreggiata, il divario fra velocità rilevata e il limite imposto sulla strada, e molti altri parametri legati alla strada che si intende percorrere. Il software può essere scaricato da internet: pesa 7,4 MB. Waze, in pochissimo tempo, ha raccolto 500mila utenti in tutto il mondo ed è già entrato nella Top25 delle applicazioni free più scaricate su iPhone. È talmente innovativo che ha siglato un accordo per lo scambio dati con Intermap, numero uno mondiale di contenuti geospaziali in 3D.

domenica 20 giugno 2010

Donne malate di stress

Lo stress è ormai diventato un luogo comune. Tutti siamo stressati: i ritmi frenetici della vita quotidiana ci rendono inevitabilmente nervosi, ansiosi, stanchi cronici. In realtà - da una recente ricerca effettuata dagli esperti del The Children's Hospital of Philadelphia - scopriamo che lo stress è soprattutto "femmina", nel senso che colpisce in modo decisamente più aggressivo le appartenenti al gentil sesso. Come mai? Secondo gli scienziati è per via di un ormone ipotalamico - riconosciuto con l'acronimo Crh - corrispondente al fattore di rilascio della corticotropina. Questa sostanza renderebbe le donne più suscettibili allo stress in una percentuale del 50% superiore ai maschi. I test sono stati condotti sui topi. Si è visto che - gli animali costretti a sessioni di nuoto forzato - non reagiscono tutti allo stesso modo allo stress: nel sesso femminile il cervello è più sensibile ai livelli del fattore di librazione della corticotropina. Secondo gli esperti la stessa cosa accade anche nell'uomo, pertanto le donne sono più soggette a patologie depressive e ansiogene.

La ricerca in realtà contraddice le conclusioni di uno studio condotto qualche settimana fa da esperti del Connors Center for Women's Health and Gender Biology del Brigham and Woman's Hospital di Boston. In questo caso gli scienziati rivelano che le donne nel tempo hanno migliorato la loro capacità di resistere allo stress, al contrario dell'uomo che non ha variato le sue risposte agli stimoli esterni. Si è visto che in caso di tensione gli uomini subiscono prima delle donne crisi di panico e ansia. A questi risultati i ricercatori sono giunti lavorando con la risonanza magnetica che ha consentito di monitorare le attività cerebrali nei due sessi sottoposti a stimoli stressanti. Alla fine s'è visto che le donne reagiscono allo stress come gli uomini solo nel periodo mestruale, mentre durante gli altri periodi del mese sono più resistenti. Le stime dicono che lo stress è spesso conseguenza di una condizione lavorativa non soddisfacente. Il 41% dei lavoratori italiani è vittima di questo problema, in percentuale quindi più alta, rispetto ad altre nazioni come Germania (25%) e Francia (24%).

sabato 19 giugno 2010

Tumore al seno: ko con una proteina

Un vaccino per prevenire il tumore al seno. Sta per essere messo a punto da un team di scienziati del Cleveland Clinic Learner Research Institute dell'Ohio (USA). Lo scopo è quello di vaccinare le donne prima dei 40 anni. Gli scienziati sono giunti a questo traguardo utilizzando una proteina chiamata alfa-lattoalbumina prodotta dalle cellule tumorali con un audiovante (sostanza che stimola la risposta immunitaria dell'organismo). Nei test condotti sui topi s'è visto che il preparato è effettivamente in grado di impedire la formazione di masse neoplastiche. “Forse riusciremo a sconfiggere il tumore al seno”, dice Vincet Tuohy, uno dei responsabili della ricerca. Ogni anno in Italia vengono diagnosticati 35mila nuovi casi di tumore al seno.

venerdì 18 giugno 2010

Ecco perchè l'uomo pensa sempre e solo a quello... incompreso dalla donna

Recentemente uno studio condotto da un gruppo di scienziati inglesi ha dimostrato che il pettegolezzo è una prerogativa femminile. Su duemila persone coinvolte nei test, è, infatti, emerso che due donne su tre ammettono di origliare quando sentono qualcuno rilasciare indiscrezioni, contro meno della metà degli uomini. È un esempio banale che, però, mette immediatamente in luce la spiccata diversità fra uomini e donne, non solo sul piano fisico, ma anche e soprattutto su quello mentale. Il cervello, dunque, benché i codici genetici di maschi e femmine siano per più del 99% identici, è profondamente diverso nei due sessi. "I due cervelli hanno impronte genetiche diverse che creano differenze anatomiche", si legge su uno degli ultimi numeri della rivista scientifica New Scientist. Fino al Diciannovesimo secolo le donne erano considerate esseri inferiori, perché dotate di un cervello più piccolo. Più tardi, però, si comprese che l'intelligenza di una persona non dipende dalle dimensioni dell'organo cerebrale, bensì dal buon funzionamento dei neuroni, le cellule che lo rappresentano: un elefante ha un cervello che pesa fino a cinque chilogrammi, ma non è certo più intelligente di un uomo. "È come coi fili del computer", spiega a Oggi Stefano Cappa, professore di Neuroscienze Cognitive, presso l'Università Vita e Salute, San Raffaele di Milano, "il buon funzionamento di un pc non dipende dal numero di cavi ma da come questi cavi sono collegati fra loro". In media l'uomo ha un cervello più grande della donna del 9%. Quello maschile è anche più pesante: 1300 grammi, contro i 1100 della donna. Ma le vere differenze fra l'organo cerebrale maschile e quello femminile sono altre e si riflettono sul comportamento di tutti i giorni. Una donna, per esempio, parla molto più dell'uomo. Ogni momento è propizio per attaccare bottone. Il motivo di questa diversità è semplice: nei centri cerebrali del linguaggio e dell'ascolto le donne possiedono l'11% in più di neuroni rispetto agli uomini; mentre le aree collegate al linguaggio presentano un volume maggiore del 23%. "Se per esempio chiediamo a un campione di maschi e femmine di indicare nel minor tempo possibile parole che iniziano con la lettera F, probabilmente le donne avranno la meglio", continua Cappa. "Tuttavia, qualche volta, le differenze sono davvero minime e spesso negli studi su piccoli campioni non sono nemmeno riscontrabili".

Le donne sono anche caratterizzate da un maggiore sviluppo del corpo calloso, parte anatomica che consente il "dialogo" fra i due emisferi cerebrali: il destro, legato all'elaborazione di dati spaziali, e il sinistro, concernente le funzioni linguistiche. Questa prerogativa in rosa spiega due aspetti importanti della biologia femminile: l'intuito e la capacità di riprendersi più velocemente dell'uomo da un ictus (o da un trauma cranico). Le donne guariscono prima da una lesione cerebrale perché i due emisferi sono protetti dagli estrogeni. Per ciò che riguarda invece l'aspetto intuitivo, il gentil sesso non ha eguali perché la comunicazione fra i due emisferi è, in generale, più efficace: "Non c'e' dubbio che le donne siano più sensibili alle emozioni degli altri, in particolare, sono più "empatiche", prosegue Cappa. "Solo gli studi futuri saranno in grado di chiarire se la differenza è di tipo biologico, o è dovuta a fattori di tipo culturale". Scienziati della Harvard Medical School hanno, comunque, visto che l'empatia femminile è rintracciabile fin dai primi giorni di vita di un bebè. Le bimbe entrano prima in sintonia con la mamma, se prese in braccio smettono prima di piangere rispetto a un maschietto. Louann Brizendine nel suo libro "Il cervello delle donne" fa sapere che a meno di ventiquattro ore dalla nascita una neonata risponde al pianto disperato di un piccolo vicino più di quanto non faccia un neonato. Le donne sono inoltre caratterizzate da una grande emotività, non riscontrabile nel genere maschile: piangono più dell'uomo, si commuovono più facilmente, ma si ammalano anche di più di depressione (in una percentuale doppia rispetto agli uomini). In questo caso il riferimento è all'ippocampo, regione del cervello legata alle emozioni e alla formazione dei ricordi, che nelle donne è più ampia."Qui entrano in gioco anche gli ormoni", spiega Gianluca Ardolino, neurologo presso l'Unità operativa di neuro fisiopatologia del Policlinico di Milano. "Nella donna estrogeni e ossitocina conferiscono tenerezza, dolcezza e stimolano la fiducia; nell'uomo testosterone e vasopressina aumentano l'aggressività. La dopamina, uno dei neurotrasmettitori dello stress, viene poi 'sintetizzato' in modo diverso nei due sessi, conferendo una maggiore vulnerabilità psichica alle donne". Nell'uomo, in compenso, è più sviluppato l'ipotalamo, area del cervello che regola il sonno, la fame, la sete: "L'ipotalamo è connesso con il talamo e il sistema limbico, legato alle funzioni neurovegetative", continua Ardolino, "Influisce sul cosiddetto sistema nervoso simpatico, determinando fenomeni come la tachicardia e la bradicardia". Anche lo spazio cerebrale preposto all'impulso sessuale, nell'uomo, è più grande rispetto alla donna. I maschi, per questo motivo, pensano al sesso moltissime volte al giorno, contrariamente alle femmine che si soffermano sull'argomento, in media, non più di tre volte nell'arco delle ventiquattro ore.

"I pensieri sessuali guizzano nel cervello maschile notte e giorno, in particolare nella corteccia visiva, tenendolo sempre pronto a cogliere un'occasione sessuale che gli si presenti", dice Louann Brizendine, nel suo ultimo lavoro "Il cervello degli uomini". Per arrivare a queste conclusioni gli scienziati hanno analizzato con la risonanza magnetica il cervello di uomini e donne mentre seguivano la scena di una coppia che parla: si è visto che solo negli uomini si accendono le aree che controllano gli istinti sessuali, prevedendo un imminente incontro sessuale tra i due, che invece la donna nemmeno immagina. Secondo i ricercatori dell'Università di Melbourne le tendenze sessuali dipendono dall'amigdala: più grande è, maggiore è la spinta sessuale. Infine George Fieldman, membro della British Psychological Society, spiega il motivo per cui gli uomini pensano sempre al sesso: "Lo fanno perché sono programmati dall'evoluzione a trasmettere i propri geni", dice lo studioso inglese. "Quando un uomo incontra una donna è concentrato sulla riproduzione. Mentre la donna cerca anche altri attributi come la gentilezza e la sincerità".

(Articolo pubblicato sul settimanale Oggi in una versione differente)

giovedì 17 giugno 2010

Marissa Mayer svela i segreti di Google

MARISSA MAYER: 35 anni, è vicepresidente Search Products & User Experience di Google. Ingegnere presso l'azienda di Mountain View dal 1999, ha trascorso l'ultimo decennio a progettare e sviluppare l'interfaccia del motore di ricerca Google. Il magazine Fortune l'ha inserita fra le cinquanta donne più potenti del mondo.

Gennaio 09, www.techradar.com
Google è il motore di ricerca più popolare, in grado di effettuare una ricerca su milioni di pagine web in alcuni millisecondi. Che atmosfera si respirava all'inizio?
Eravamo piccolissimi. Google era composta da sole 20 persone. Il clima, però, era dei migliori e vi era molta speranza e intraprendenza. Avevamo la consapevolezza di lavorare su qualcosa che poteva avere un impatto sul mercato, benché non avessimo ancora chiaro il suo reale potenziale.

Gennaio 05, Centro di ricerche di Palo Alto della Xerox
È vero che il nome Google è frutto di un errore di pronuncia?
È verissimo. Deriva dal termine googol, la cui pronuncia è praticamente identica. (Googol indica un numero intero esprimibile con un 1 seguito da 100 zeri e venne ideato dal matematico americano Edward Kasner, ndr).

Novembre 09, IDG News Service
Qual è il motore di ricerca perfetto? Se disponesse di una bacchetta magica e potesse crearlo dal nulla, a cosa assomiglierebbe?
Sarebbe una macchina in grado di rispondere a questa domanda, dico davvero.
Cosa sarebbe in grado di fare?
Comprendere discorsi, domande, frasi, concetti; cercare tutte le informazioni del mondo, trovare differenti idee e concetti, e presentarli in un modo davvero informativo e coerente.

Marzo 09, Nova24
Parliamo dei “search engine” di domani, descrivendo un contesto il cui centro di gravità non è il motore di ricerca, ma l’utente con le sue esigenze, finalmente comprese e soddisfatte...
Le persone riescono ad effettuare mediamente il 10, forse il 20% delle ricerche online che hanno in mente e ciò avviene perché i motori di ricerca oggi hanno ancora limiti importanti. A pensarci bene, l’uso delle parole chiave, per quanto pratico, non è esattamente intuitivo. Ben diverso sarebbe se Google accettasse domande dirette, da scrivere nel solito spazio vuoto o, meglio ancora, da pronunciare ad alta voce con il microfono acceso.

Dicembre 09, www.readwriteweb.com
Intanto compaiono nuovi sistemi di comunicazione...
Negli ultimi anni, in effetti, è emerso un nuovo tipo di informazione: gli updates in tempo reale come quelli su Twitter sono diventati non solo un nuovo modo di comunicare i sentimenti e le sensazioni delle persone, ma anche un interessante fonte di informazione.

Settembre 08, Los Angeles Times
Cosa succederà nei prossimi 10 anni?
I prossimi 10 anni saranno dedicati all’innovazione. Il settore delle ricerche non è finito. Stiamo cercando di monetizzare nuove forme di contenuti come il settore dei video online, le mappe ed i libri.
E più in là nel tempo?
Un domani la Rete sarà sempre più ricca di elementi multimediali che troveranno nuovo posto nella pagina dei risultati di ogni ricerca. Con Google Universal Search abbiamo fatto il primo passo e creato un utile spazio di sperimentazione, ma è solo l’inizio: un domani avremo pagine di risultati dove media diversi potranno convivere in maniera più armoniosa.

Maggio 10, www.techmeme.com
Risale a pochi giorni fa il nuovo look di Google. Come si è arrivati a questo risultato?
Il web è un'entità in continuo cambiamento, si evolve e si rinnova. È quindi importante anche per siti famigliari come quello di Google aggiornare lo stile, il look. Le modifiche mostrate oggi rappresentano l'ultima evoluzione delle nostre tecnologie di ricerca. Trovare esattamente quello che si sta cercando sarà più facile che mai.

(Pubblicato sul n 4 di Newton)

mercoledì 16 giugno 2010

La materia oscura? Non esiste

Scienziati affermano che la materia oscura - la misteriosa sostanza che rappresenterebbe il 96% dell'universo - potrebbe non esistere (oggi sul Daily Mail: http://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-1286668/Dark-energy-matter-exist-claim-scientists.html). Se ciò fosse vero significa che tutte le teorie sul cosmo sarebbero da rifare: in particolare quella relativa alla velocità di espansione post Big Bang. Stando alle teorie classiche solo il 4% dell'universo è rappresentata da stelle, pianeti e altri corpi celesti. Il resto è ancora avvolto nel mistero. Gli scienziati della Durham University sono giunti a queste conclusioni dopo aver analizzato i dati ricavati da un satellite della NASA lanciato in orbita nel 2001 per monitorare la dispersione del calore provocato dal Big Bang. I dati ufficiali della collaborazione CDMS (Cryogenic Dark Matter) giungono agli stessi risultati. Ma finché non si avrà una conferma di questi nuovi studi, continueremo a credere nell'esistenza della materia oscura. Ma di cosa si tratta esattamente? Con materia oscura s'intende quella componente di materia che si manifesta attraverso i suoi effetti gravitazionali, ma non è direttamente osservabile. "È una situazione alquanto imbarazzante dover ammettere che non riusciamo a trovare il 90% della materia dell'universo", dichiara al New York Times Bruce H. Margon, dell'Università di Washington.



Gli ultimi studi sono comunque più dettagliati. Gli esperti dicono che la materia oscura costituisce circa il 23% dell'energia del cosmo, e l'85% della massa. La massa oscura è divisibile in "barionica" e "non barionica". La prima è quella composta da materia simile a quella che rappresenta le stelle e i pianeti; la seconda si ipotizza possa essere composta da particelle supersimmetriche come neutralini, neutrini massicci, o assioni, o altre particelle che nessuno ha ancora "visto", soggette alla forza gravitazionale. Recenti analisi pubblicate sulla rivista Astronomy and Astrophysics hanno avanzato l'ipotesi che la materia oscura - se si potesse vedere - assomiglierebbe a un'immensa ragnatela che da un capo all'altro occuperebbe una porzione di cielo di 270 milioni di ani luce. Infine la materia oscura non va confusa con l'energia oscura. Quest'ultima è un'ipotetica forma di energia che si trova nello spazio sottoforma di "costante cosmologica" o "quintessenza". Anche qui però si naviga a vista: si è sempre nel campo delle ipotesi, non abbiamo ancora scoperto il suo reale significato, e in che modo influenzi l'accelerazione dell'universo. Pochi mesi fa però l'operazione Cosmos (Cosmological Evolution Survey) ha offerto indizi importanti a favore della sua esistenza. Grazie al telescopio Hubble - concentrato per mille ore su 446mila isole stellari - è stato possibile evidenziare che l'energia oscura provoca una distorsione dell'immagine delle galassie generata da un effetto noto come "lente gravitazione", riconducibile alla distorsione causata da una normale lente nell'ottico.

martedì 15 giugno 2010

Malati di tintarella

A tutti piace prendere il sole in estate, e tornare a casa un po’ più "scuri" del solito. In realtà per molte persone l'abitudine alla tintarella può trasformarsi in una vera e propria ossessione. In questo caso si parla di tanoressia. Secondo uno studio diffuso in questi giorni dall'Istituto di ricerca di dermatologia globale (Irdeg) il fenomeno riguarderebbe soprattutto le donne di età compresa fra 25 e 45 anni, magre, fumatrici, con un fototipo piuttosto scuro (che non si scotta facilmente). Per questo tipo di persone l'abbronzatura è una necessità assoluta: non hanno, peraltro, nessuna paura a rimanere per ore sotto il sole cocente, anche nei momenti più caldi della giornata, possibilmente senza utilizzare le creme solari protettive. Un male, dicono gli esperti, perché a lungo andare il sole può provocare seri problemi alla pelle, che vanno da banali eritemi e malattie tumorali. Inoltre i raggi solari "stressano" l'epidermide, provocando un invecchiamento precoce delle cellule che lo compongono. Le statistiche parlano di circa 11milioni di italiani che hanno trasformato l'abitudine alla tintarella in una dipendenza a tutti gli effetti. In questi casi si ricerca incessantemente il colore ambrato della pelle, anche durante l'inverno: in particolare, i tanoressici, quando fa freddo, ricorrono ai lettini solari e alle lampade a raggi UV. Il problema era già stato sollevato anni fa da un team di studiosi americani della University of Texas Medical Branch di Galveston. Secondo gli esperti i tanoressici sono colpiti da un vero e proprio disagio psichico, assimilabile alla dipendenza da droghe o alcol: in questo caso "la droga" è appunto il sole. In parte la "dipendenza" è anche dovuta al fatto che la prolungata esposizione solare mette di buonumore, in pratica funge da antidepressivo naturale, essendo legata alla produzione di serotonina. La cura? Non esiste. Tuttavia la raccomandazione dei dermatologi è sempre la stessa: esporsi correttamente all'attività solare, osservando gli orari propizi (mai fra le 12.00 e le 15.00) e usufruendo delle creme solari.

lunedì 14 giugno 2010

Appariscenti per conquistare l'uomo giusto

È un atteggiamento che le donne mettono in atto inconsapevolmente, ma che riguarda ognuna di esse: vestire abiti sgargianti o indossare più gioielli del solito durante il periodo dell’ovulazione. Dicono gli studiosi che si tratta di uno stratagemma evolutivo che risale alla notte dei tempi: in questo modo le donne comunicano agli uomini che sono nel periodo fertile e che la fecondazione può avere luogo. Per arrivare a ciò, gli psicologi dell'Università della California hanno coinvolto una trentina di ragazze: “Ciò che abbiamo notato – dice Martie Haselton, a capo dello studio - è che queste donne non cambiano radicalmente modo di vestire: semplicemente, sostituiscono alcuni capi con altri più alla moda e aumentano gli accessori quali bracciali, collane e anelli”.

domenica 13 giugno 2010

Gli orsi americani abbandonano le foreste e si trasferiscono in città

Gli orsi americani hanno trovato un nuovo ambiente in cui vivere: sono le periferie dei grandi centri urbani del New Jersey, New York, Nevada e Connecticut. Nei primi anni Ottanta la popolazione di plantigradi a ridosso delle città corrispondeva appena al 10%, ora è addirittura del 90%. In pratica ci sono più orsi nelle zone che circondano le metropoli statunitensi che non nelle foreste. Ma qual è il motivo che spinge questi animali ad abbandonare i loro luoghi natii per urbanizzarsi? Semplicemente perché nelle città trovano con maggiore abbondanza di che sfamarsi, senza far fatica. Gli animali si riversano singolarmente, in coppie, o addirittura in gruppi su cassonetti dell’immondizia, frigo all’interno di comuni abitazioni, giardini pubblici, e si abbuffano di tutto ciò che trovano, da un punto di vista espressamente calorico senz’altro più redditizio che non le comuni bacche e noci di cui si nutrono abitualmente. La situazione incredibile in cui si sono venuti a trovare gli orsi moderni - e di conseguenza i cittadini dei vari centri urbani presi d’assalto dai plantigradi - è stata resa nota da un articolo del New York Times. “L’immondizia è la soluzione estrema per gli orsi – ha detto al giornale statunitense il dottor Jon Beckmann, che ha seguito il comportamento di questi mammiferi per la sua tesi di dottorato e ora lavora come ecologista per la Wildlife Conservation Society, che gestisce lo zoo del Bronx – essendo disponibile anche durante i periodi critici dell’anno in cui non si trova molto cibo. La cosa più stupefacente è che gli esemplari che consumano gli scarti umani sono diventati molto più grassi e alti dei loro cugini montanari”. Gli esperti hanno fatto di tutto per riportare i plantigradi nel loro ambiente naturale ma c’è stato ben poco da fare. Il 92% degli orsi catturati in Nevada e portati nei boschi decidono di tornare nelle aree urbane e il 70% lo fa nelle prime 48 ore dal ritorno nella foresta. A tal punto, dicono i ricercatori al New York State Department of Environmental Conservation, non resta che pensare di sviluppare contenitori per l’immondizia più resistenti e che possano alla lunga far desistere gli orsi dal loro perenne pellegrinaggio verso le città.

sabato 12 giugno 2010

2013. Appuntamento con la tempesta solare che potrebbe "spegnere" il pianeta

L'allarme è stato lanciato dai tecnici della NASA: nel 2013 ci sarà un picco dell'attività solare che potrebbe distruggere le nostre reti elettriche e informatiche. A rischio anche i satelliti. Nessuno vuole creare allarmismi, tuttavia l'apertura del Forum sul Clima Solare, promosso dall'ente USA, intende far luce sul fenomeno, per individuare una soluzione e correre prima ai ripari: per esempio i satelliti potrebbero essere messi in "safe mode", disattivando i processori e impedendo al sole di interferire con la loro azione. Richard Fisher, esperto della NASA dice che "la nostra società tecnologica ha sviluppato una sensibilità alle tempeste solari senza precedenti". Secondo gli esperti l'azione solare potrebbe in brevissimo tempo mandare in tilt tutte le apparecchiature elettriche, lasciando il pianeta al buio. Salterebbero i sistemi di comunicazione e i dispositivi GPS. "Dopo dieci minuti, i satelliti commerciali che trasmettono le conversazioni telefoniche, TV e informazioni, sarebbero praticamente spazzati via", dichiara Tom Bogdan, lo studioso che ha sviluppato un modello matematico per capire ciò che potrebbe succedere nel 2013. Tutto dipende dal fatto che la nostra stella sta diventando sempre più attiva. In particolare le tempeste solari - dette anche tempeste geomagnetiche - si verificano quando le macchie solari esplodono, producendo forti emissioni di materia dalla corona solare che finiscono per colpire il campo magnetico terrestre, con tutte le conseguenze del caso: una tempesta magnetica dura in media dalle 24 alle 48 ore. Memorabile fu quella del 1989 che nei cieli del Quebec, che causò un'aurora boreale visibile fino in Texas. Il cosiddetto ciclo solare dura invece undici anni: in questo momento stiamo entrando nella fase attiva che dovrebbe avere il suo culmine proprio nel 2013. "Il sole si sta risvegliando da un sonno profondo ", ha concluso Fisher.

venerdì 11 giugno 2010

Un test genetico svela il segreto della bravura di Eto'o

Tutti conoscono molto bene la classe di Eto'o, giocatore camerunense, simbolo dell'ultima Inter pluripremiata. Ora, una bella iniziativa messa in campo da Wired, ha pensato di "scandagliare" i segreti fisioanatomici di questo grande atleta, per cercare di capire cosa lo differenzia dalle persone comuni. Gli è stato chiesto di riempire di saliva una provetta da laboratorio che è poi stata spedita a Mountain View, California, dove ha sede 23andMe, un servizio che consente l'elaborazione di test genetici, inserito da Time, due anni fa, nella lista delle invenzioni più importanti dell'anno. Ebbene, da questo esperimento è emerso che Eto'o non è come le persone "normali", ma ha delle caratteristiche "organiche" particolari, direttamente legate alle sue eccezionali doti: agilità, abilità, rapidità. Dai test si è visto che il calciatore camerunense, in linea paterna, vanta il carattere E1b1, tipico di chi risiede nella zona a sud del Sahara, risalente a 20mila anni fa. Mentre dalla parte di mamma è portatore del carattere L2b2, anch'esso sub sahariano e molto antico: in questo caso, infatti, si arriva addirittura a 30mila anni fa. Con ciò gli esperti californiani hanno evidenziato che il 91% di Eto'o è africano, il 6% asiatico, il 2% europeo, e l'1% non identificabile. Secondo gli studiosi queste caratteristiche genetiche si riflettono sulla muscolatura del camerunense rendendolo un atleta perfetto. "Gli individui si differenziano nelle loro capacità per le variazioni genetiche e per l'ambiente", spiega su Wired, Henning Wackerhage, dell'Health Sciences Building dell'Università di Aberdeen, in Scozia. "In particolare i calciatori non devono solo correre, ma avere anche resistenza, abilità tecniche e tattiche e una certa corporatura". Le ricerche hanno dimostrato che i muscoli di Eto'o sono rappresentati da un'alta percentuale di fibre a contrazione rapida, bianche, di tipo II o FT, dall'inglese "fast twich". Al loro interno si trova un'elevata concentrazione degli enzimi tipici del metabolismo anaerobico "alattacido e glicolitico". In generale la comunità scientifica ritiene che la predisposizione alle performance sportive dipenda da centinaia di variabili genetiche. In particolare, uno studio australiano condotto nel 2003, ha rivelato che negli atleti è spesso presente la variante R del gene ACTN3, legata a resistenze fisiche superiori alla media. A tal proposito la Atlas Sports Genetics in Colorado, offre a 149 dollari un test del gene ACTN3 per stabilire l'attitudine dei bambini alle varie discipline sportive.

giovedì 10 giugno 2010

"Da bambina e da ragazza ero come Speedy Gonzales": la mia intervista a Rita Dalla Chiesa

Prima troppo, poi troppo poco. È così che ha funzionato per anni la mia tiroide. Da bambina e da ragazza ero come Speedy Gonzales, mangiavo tantissimo, ma non mettevo mai su un etto. Ero un'ipertiroidea. Poi, con l'età adulta, dopo un provvidenziale intervento alla ghiandola, cominciai a soffrire del problema opposto, ossia d'ipotiroidismo. In questo caso bastava anche solo uno sguardo, magari a una pizza, per ingrassare! I miei problemi di tiroide sono cominciati a 13 anni. Ero una bambina normalissima, mi piaceva giocare, studiare, stare all'aria aperta. E mangiare: nutella, cioccolato, panna montata. I miei genitori giustificavano la mia magrezza con il fatto che non stavo mai ferma. Saltavo come un grillo e non perdevo occasione per far baldoria. In realtà era il mio metabolismo che andava a mille all'ora. Mi abbuffavo, ma non mettevo mai su chili. Ogni tanto, però, sentivo il cuore battere forte e sudavo freddo. Comparvero le prime palpitazioni. Quando questi sintomi divennero più frequenti, mio papà (che nel '60 era colonnello in Sicilia) decise che forse era meglio sottopormi a una visita specialistica. E fu così che scoprii ufficialmente la mia malattia: l'ipertiroidismo. Andai avanti a sottopormi a visite periodiche dall'endocrinologo che mi tenne in cura per anni. Mi sposai che pesavo appena 46 chilogrammi. La mia tiroide continuava a funzionare più del normale, ma non mi dava particolari problemi. Riuscivo tranquillamente a condurre una vita serena. A gestire il mio lavoro, la famiglia, e frequentare gli amici. Non soffrivo, peraltro, di esoftalmia, una fra le più frequenti e imbarazzanti manifestazioni dell'ipertiroidismo, in cui si ha una sporgenza anomala dei bulbi oculari. In ogni caso sentivo dire in giro che quasi tutti avevano qualche problema alla tiroide, compresa mia sorella. Un giorno, però, tramite un controllo, venni a sapere che s'era sviluppato un nodulo. Era da un po’, in effetti, che non riposavo più bene e che la tachicardia aveva ripreso a darmi fastidio. La preoccupazione crebbe. Avevo solo trent'anni. Papà era ancora al mio fianco. Così cominciai una lunga trafila di visite prima di approdare a un luminare endocrinologo del Policlinico Gemelli, che decise di operarmi: si trattava di un nodulo iperattivo. Se non mi fossi operata, col tempo, avrebbe provocato seri problemi anche al cuore. Fino a quel momento non mi ero mai preoccupata di prevenzione, ma dall'intervento in poi le cose cambiarono e divenni più sensibile agli screening. L'operazione durò quattro ore, e si svolse, per fortuna, senza complicanze. Mi privarono di metà tiroide. Risultato: guarii dall'ipertiroidismo, ma mi ammalai subito dopo d'ipotiroidismo. La mia tiroide cominciò quindi a funzionare meno del normale, il mio metabolismo rallentò di colpo, ed io presi a ingrassare come non era mai accaduto prima. I primi tempi non ne volli sapere delle medicine, poi, però, fui costretta ad assumere quotidianamente un farmaco (Eutirox): era l'unico modo per equilibrare una secrezione ormonale tiroidea ormai deficitaria. Oggi posso, dunque, dire di stare bene e di aver imparato a convivere senza problemi con la mia tiroide ballerina, anche se periodicamente sono costretta a sottopormi a visite di controllo e a scoprire, quasi sempre, dei noduli che vanno e che vengono.

(Pubblicato sull'ultimo numero di OkSalute)

mercoledì 9 giugno 2010

Contro la logica meccanicistica e riduzionistica della politica agricola

Oggi su Repubblica c'è un interessante confronto fra Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e Jeremy Rifkin, economista e saggista statunitense. Petrini parla di una visione centralizzata dell'agricoltura fatta di monocolture e allevamenti intensivi altamente insostenibili, e del completo rifiuto - da parte dell'uomo moderno - della logica olistica. Rifkin ribatte dicendo che la base dell'economia è la fotosintesi, e che con l'energia solare si crea la vita. Ma la strada che stiamo percorrendo è sbagliata. "Esistiamo soltanto da 175mila anni e rappresentiamo solo lo 0,5% dell'intera biomassa vivente sul pianeta, ma stiamo usando il 24% di tutta l'energia generata dalla fotosintesi sulla Terra. Siamo mostri. Stiamo divorando il nostro pianeta. Continuando di questo passo nei prossimi 20 o 30 anni arriveremo a utilizzare la metà della fotosintesi del pianeta. Non ce la faremo". Spigolature ha affrontato l'argomento proprio pochi giorni fa, con l'articolo http://gianlucagrossi.blogspot.com/2010/06/le-ultime-sulla-crisi-sono-tuttaltro.html, e dunque ripropongo integralmente il video dell'intervista recuperato dall'Homepage del quotidiano...

martedì 8 giugno 2010

La torre pendente di Abu Dhabi

Non è più la torre di Pisa l'edificio più pendente del mondo. Da questi giorni il primato è del “Capital Gate Building”, nuovo grattacielo di Abu Dhabi. Parola dei giudici del Guinness World Record. La costruzione – 35 piani per 150 metri di altezza – ha un'inclinazione di 18 gradi, quattro volte superiore a quella del monumento pisano. L'eccezionale pendenza è resa possibile da uno scheletro interno costituito da 15mila metri cubi di cemento, rinforzato con oltre 10mila tonnellate di acciaio. C'è però una differenza sostanziale fra la torre di Pisa e il “Capital Gate Building”: la pendenza del nuovo edificio è voluta, e non dipende dalla tipologia di terreno su cui sorge. Se tutto andrà come previsto la nuova torre pendente di proprietà dell'Abu Dhabi National Exhibition Company, verrà inaugurata entro la fine dell'anno: restano solo da ultimare i lavori per gli allestimenti interni (fra cui una serie di locali destinati a un albergo cinque stelle).

lunedì 7 giugno 2010

Gli antibiotici? Spesso non servono a nulla

Gli antibiotici sono utili per combattere gravi malattie infettive, ma servono a poco o a nulla per sconfiggere patologie lievi come le bronchiti o le faringiti. Lo dicono dei ricercatori dell’Università di Southampton, in Inghilterra. Gli studiosi hanno verificato che - su un campione di 807 individui - le persone che vengono curate con gli antibiotici per una patologia giudicata non grave, guariscono come chi non li assume. Lo studio divulgato sulle pagine della rivista Journal of the American Medical Association è stata effettuata considerando il fatto che - secondo varie organizzazioni sanitarie - sono troppi i soldi spesi ogni anno per l’acquisto di antibiotici: le stime parlano di oltre 700 milioni di dollari all’anno. Non tutti però sono d’accordo con gi scienziati inglesi. C’è infatti chi dice che gli antibiotici fanno sempre e in ogni caso bene ai pazienti colpiti da malattie infettive, compresi coloro che soffrono di disturbi leggeri. La notizia potrebbe destare particolare interesse in Italia, dove gli antibiotici vengono somministrati in grande quantità, talvolta addirittura in caso di malattie virali, su cui gli antibiotici non hanno alcun potere. Stando ai dati diffusi dal rapporto Osmed - realizzato dall'Agenzia italiana del Farmaco - l'Italia è la terzo posto in Europa per consumo di antibiotici, preceduta solo da Francia e Cipro. Nel 2008 il 53% di bimbi e il 50% degli anziani hanno fatto uso di qualche antibiotico. Tra i più "gettonati" possiamo ricordare le penicilline, i macrolidi e le cefalosporine.

domenica 6 giugno 2010

Taglio netto agli sprechi alimentari. Un modo per salvarci dalla crisi (quasi senza accorgerci)

Le ultime sulla crisi sono tutt'altro che ottimistiche. Fra gennaio e aprile - solo in Italia - hanno cessato l'attività 177.556 imprese, con un saldo fra avviate e chiuse negative di oltre 14mila imprese. Sono i risultati di uno studio condotto dalla Camera di commercio di Monza e Brianza. Il mondo del lavoro continua la sua agonia e a questo punto è la maggioranza a non credere più alle parole dei politici, convinti che presto ci lasceremo la Grande Crisi alle spalle. Il quadro, in effetti, è ben diverso: cresce il numero di cassintegrati e di disoccupati e tirare fine mese sta diventando sempre più difficile per un gran numero di famiglie italiane. In che modo, quindi, possiamo salvaguardare il nostro portafoglio e di conseguenza il Pil? Si dovrebbe iniziare risparmiando sulle cose di tutti i giorni, per esempio sul cibo. Parola di numerosi esperti americani che da quando s'è innescata la Grande Crisi, tengono gli occhi ben puntati su ogni nostra azione quotidiana: ché evidentemente il tracollo dell'economia mondiale non riguarda solo i sotterfugi dei banchieri ma anche il nostro "banale" vivere di tutti i giorni, stabilizzatosi su leitmotiv esistenziali in disaccordo con le risorse ambientali e i fabbisogni complessivi della società. Gli analisti parlano chiaro: se fossimo più accorti e sprecassimo meno quando mangiamo, si avrebbero risparmi enormi che potrebbero avere ripercussioni eccezionali - in positivo - sull'economia mondiale. Certo, detto così può significare tutto e niente, ci vogliono degli esempi. Eccone qualcuno. Il Prodotto interno lordo dipende al 73% dalla propensione alla spesa dei privati. Secondo Andrea Segré, preside della facoltà di Agraria dell'Università di Bologna e autore del progetto "Last Minute Market", ogni 24 ore gli statunitensi gettano nei rifiuti 12mila tonnellate di cibo ancora perfettamente utilizzabile. In Italia le tonnellate di alimenti sprecati sono almeno quattromila al giorno: quattro miliardi di euro è il valore dei beni alimentari che finiscono nei rifiuti di ogni anno nel Belpaese. Nei dettagli scopriamo che il 15% di pane e pasta vengono eliminati ogni giorno (a Milano ogni 24 ore finiscono nel cestino 180 quintali di pane); così il 18% della carne e il 12% di verdura e ortaggi. È come se ogni famiglia italiana buttasse annualmente 600 euro nella spazzatura, su una spesa mensile di 450 euro, circa l'11%. C'è poi l'aspetto umanitario, tenuto conto del fatto che sono circa 150milioni le persone del Terzo Mondo che potrebbero essere sfamate dal cibo che - prodotto dai paesi occidentali - finisce in spazzatura. Curando i destini del cibo sprecato si avrebbe anche un miglioramento delle condizioni climatiche, se si pensa che solo i latticini acquistati e non consumati producono ogni anno 640mila tonnellate di anidride carbonica, principale gas serra. E che - secondo i dati emersi dal Copenaghen Klimaforum 09, il Forum Globale della Società Civile sui cambiamenti climatici che si svolge parallelamente al Climate Change Summit delle Nazioni Unite - "il 10% delle emissioni di gas serra dei paesi sviluppati deriva dalla produzione di cibo che viene giornalmente gettato". Dunque cosa si può fare per venire a capo di questa assurda situazione? Il rimedio non è automatico, tuttavia qualcosa si sta facendo. A cominciare da ciò che accade fra le nostre quattro mura. C'è, infatti, chi ha iniziato a ragionare come i nostri nonni, che non sprecavano mai nulla: loro sì che sapevano cosa voleva dire la fame e quindi l'esigenza di non lasciare nemmeno una briciola nel piatto. "Ricordati che una volta Gesù è sceso da cavallo per raccogliere una briciola di pane caduta a terra", diceva qualche "grande vecchio". Sempre più famiglie stanno (re)imparando a fare più attenzione agli acquisti, comprando meno e più spesso, per essere certi di consumare tutto entro le fatidiche date di scadenza. Molti riutilizzano gli "scarti" per cucinare polpette, polpettoni, torte salate. Enìa, la multi-utility emiliana che si occupa di smaltimento dei rifiuti, pubblica un interessante "Ricettario degli avanzi" per preparare succulenti pranzetti utilizzando tutto ciò che è destinato al sacchetto dell"umido". Si stanno sviluppando iniziative come i mercati per il cibo all'ultimo minuto (www.lastminutemarket.org). Il principio del progetto "Last minute market" è quello di ottimizzare le eccedenze dei grossi supermercati e delle mense trasformando il "cibo in più" in risorsa. Come? Passando il surplus (cibi in scadenza o con qualche difetto estetico nelle confezioni) a particolari associazioni, attive sul territorio e attente al risparmio: la Ronda della Carità, la Piccola fraternità, Il Samaritano, gli Amici della comunità Papa Giovanni XXIII. Nel giro di tre anni di lavoro s'è arrivati ad accumulare più di trecento tonnellate di cibo cotto, e quantità altrettanto significative di alimenti freschi. Grande successo anche per "Orto in condotta" idea di Slow Food. Il suo ideatore, Carlin Petrini, dice che sta diffondendo una nuova idea di relazione con il cibo. Lo scopo principale dell'ente è educare i più piccoli a mangiare sano e bene nel rispetto dell'ambiente e del risparmio. Il progetto in Italia è partito nel 2003 basandosi sull'esperienza maturata dagli school gardens promossi da Slow Food USA. Al Congresso nazionale del 2006 di Slow Food Italia il progetto ha preso il nome di "Orto in condotta" e si è proposto l'obiettivo di creare una rete nazionale di 100 orti. Curiosa l'iniziativa di tre studenti del corso di laurea di Design industriale di Palermo, che durante un work-shop condotto dal designer Giulio Iacchetti, hanno ideato "Portateco". Si tratta di un "fagotto" per trasportare il cibo e una pratica confezione porta-bottiglia con chiusura per poterla tappare. Entrambe le confezioni possono essere riutilizzate più volte e mirano a invogliare le persone a portare via con sé quello che si avanza al ristorante senza così creare sprechi di cibo. In un ristorante americano, invece, chi avanza qualcosa da mangiare, paga più degli altri. Il riferimento è ai proprietari dell'Hayashi Ya - ristorante giapponese nell'Upper West Side della Grande Mela - che "puniscono" chi non pulisce il piatto con un sovrapprezzo del 3% sul conto: "Così eliminiamo gli avanzi e tagliamo i costi", dicono i proprietari della struttura newyorkese. Mentre Joel Berg, responsabile di un piano per la riduzione degli sprechi alimentari sotto l'amministrazione Clinton, afferma che "gli americani rimarrebbero scioccati se sapessero quanto cibo viene sprecato". E aggiunge: "Un newyorkese su sei non si può permettere il cibo di cui avrebbe bisogno, tuttavia abbiamo ristoranti che offrono porzioni abbondanti in modo quasi ridicolo". Buone nuove anche da Londra dove lo scorso 16 dicembre si è tenuto un pranzo gratuito per cinquemila persone a base di frutta e verdura fresche rispedite al mittente dalla grande distribuzione e destinate alle discariche. La proposta arriva dall'associazione "This is rubbish" che si occupa di sensibilizzare il Governo e gli inglesi, riguardo alla necessità di imparare a risparmiare sul cibo.

sabato 5 giugno 2010

Idrofilia, media di Frèchet, peer review, sull'ultimo numero di Newton in edicola

Pronto entro tre anni "SensorArt", il supercuore artificiale

Un cuore artificiale intelligente in grado di ripristinare la funzione cardiaca perduta e annullare la necessità di ricorrere al trapianto. Battezzato SensorArt verrà messo a punto entro quattro anni dagli scienziati dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr con i bioingegneri della Scuola Superiore di Sant’Anna di Pisa, nell’ambito dell’Information Communication Technology. Si tratta di un progetto integrato da oltre sei milioni di euro del Settimo programma quadro della Commissione Europea. La sua azione è assicurata da sensori capaci di valutare le condizioni fisiologiche di un paziente, e di regolare l’attività della pompa cardiaca, in base allo sforzo richiesto dall’organismo, diverso per ogni situazione: in caso di corsa, per esempio, il corpo umano ha bisogno di 20-25 litri di sangue al minuto; se si cammina ne bastano cinque. È la naturale evoluzione dei cosiddetti dispositivi di assistenza ventricolare attualmente in commercio, pompe meccaniche che, impiantate nel corpo del paziente, sostituiscono l’attività cardiaca, ripristinando una corretta circolazione e garantendo al malato una maggiore sopravvivenza. «SensorArt può essere definito una piattaforma di sensorizzazione dei dispositivi di assistenza ventricolari esistenti», spiega Maria Giovanna Trivella del Cnr, responsabile del progetto, «che, in pratica, vengono trasformati in dispositivi “intelligenti” di nuova generazione, basati sull’azione di sensori capaci di registrare la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca. I sensori sono situati nel corpo del paziente e collegati a una “centralina” esterna, fissata, tramite una cintura, alla vita del malato». I cuori artificiali oggi a disposizione dei medici (nella foto il modello AbioCor) hanno molti difetti: sono di grosse dimensioni, collegati all’esterno del corpo con cavi che possono provocare infezioni, e sono inoltre incapaci di monitorare le condizioni cardiocircolatorie del paziente. Col nuovo dispositivo, invece, tutti questi limiti scomparirebbero. Per quanto riguarda il rischio infezioni, il pericolo verrebbe scongiurato da un sistema basato sulla comunicazione wireless, sfruttando la possibilità di trasferire energia per via transcutanea. Mentre da un punto di vista pratico ed estetico, il nuovo strumento, risulterebbe molto meno ingombrante dei dispositivi attuali, perché caratterizzato da materiali più leggeri e miniaturizzati. «Il nostro scopo è creare un dispositivo definitivo e non temporaneo come molti dei cuori artificiali attualmente in commercio», continua Trivella, «nient’altro che ponti hi-tech fra la fase terminale della malattia cardiaca e il trapianto. Pertanto contiamo di poter migliorare le condizioni di salute di un numero sempre più alto di persone: nel mondo occidentale i cosiddetti dispositivi di assistenza ventricolare riguardano 600mila pazienti in fase terminale; con SensorArt si potrebbe invece arrivare a coinvolgere almeno cinque milioni di persone, non necessariamente in condizioni critiche, compresi i pazienti che per età non sono più candidati al trapianto cardiaco». In ogni caso beneficerebbero del cuore artificiale soprattutto i pazienti nei quali la pompa cardiaca ha ormai perso completamente la sua autonomia, cioè soggetti a scompenso cardiaco; si tratta di una grave condizione patologica che, per i motivi più diversi (cardiomiopatia dilatativa, ischemia, miocardite) impedisce al cuore di funzionare regolarmente ed efficacemente, nonostante la somministrazione di farmaci o interventi cardiochirurgici. La malattia è in aumento in tutti i paesi occidentali, Italia compresa, dove negli ultimi cinque anni si è avuta una crescita del 40%. Attualmente si registrano nel Belpaese 170mila nuovi casi di scompenso e 500 ricoveri al giorno. Cifre che, entro il 2030, potrebbero addirittura raddoppiare.

(Pubblicato sul n 4 di Newton)

venerdì 4 giugno 2010

Malati di 'egosurfing'

Come controllare se la propria carriera sta decollando o meno, e se i nostri "rivali" navigano in buone o cattive acque? Semplice: ci si affida all''egosurfing'. L'’egosurfing corrisponde alla pratica di cliccare il proprio nome su un motore di ricerca di internet per vedere il numero di volte che appare: tanto maggiori saranno i siti coinvolti, tanto maggiore sarà la nostra fama e attendibilità in campo lavorativo. In America l’'egosurfing sta avendo un grande successo. Persone che rivestono ruoli importanti, tra cui giornalisti, manager, e docenti universitari, la prima cosa che fanno appena accendono il pc è controllare se in Rete è comparsa qualche nuova informazione riguardante la propria attività. Contemporaneamente si dà un'’occhiata alle “quote” dei rivali, così da sapere se c’'è il rischio di venire sorpassati o surclassati. Secondo Search Engine Watch ogni giorno ci sono nel mondo da 25 a 50 milioni di ricercatori che digitano il proprio nome su qualche pagina web, mentre in alcune società esistono addirittura delle figure professionali che passano tutto il giorno a cercare di scoprire cosa dice la Rete di capi e colleghi. Per chi fosse interessato a sapere i risvolti della propria carriera e della propria fama su internet, basta abbonarsi al sito di feedster.com: con l’abbonamento si riceve nella personale casella di posta tutti i link e blog in cui appare il proprio nominativo. In alternativa si può scannerizzare la propria o altrui presenza sul web con Wombat.dot, WordSpy, oppure utilizzando i meta-motori Infohunter, Mamma.com, Dogphile.com, Ixquick.

giovedì 3 giugno 2010

L'agopuntura? Funziona, ecco le prove

Da sempre ci si chiede se l'agopuntura ha realmente effetto sulla salute dei pazienti. Ora, uno studio pubblicato dal neurobiologo Maiken Nedergaard presso lo University of Rochester Medical Center, rivela che la nota pratica medica orientale è davvero in grado di migliorare le condizioni dei malati. Secondo gli scienziati americani l'agopuntura favorisce il rilascio di adenosina, sostanza rappresentata da una molecola di adenina legata a un ribosio che interferisce con la trasmissione dei segnali dolorifici al cervello. "L'agopuntura è una tecnica utilizzata da almeno 4mila anni", rivela Nedergaard, "ma sono molti gli scettici. Oggi però con questo studio possiamo affermare con certezza che esiste un meccanismo fisico in grado di alleviare il dolore nel corpo". Gli scienziati sono arrivati a queste conclusioni dopo aver sottoposto ad agopuntura alcuni topi sofferenti a una zampa. Dai test è emerso che, gli animali trattati con la pratica orientale, presentavano un livello di adenosina nei tessuti 24 volte superiori al normale e quindi un livello di sofferenza decisamente inferiore agli esemplari curati senza agopuntura. Come controprova dell'attendibilità della loro scoperta gli studiosi hanno eliminato nei punti del corpo sottoposti ad agopuntura i recettori dell'adenosina verificando che, in effetti, l'effetto analgesico svanisce. L'agopuntura si basa sul fatto che, secondo i concetti della medicina cinese prescientifica, nell'uomo esiste una sorta di energia vitale che circola lungo particolari linee - in grado di collegare fra loro i vari organi del corpo umano - dette "meridiani". Lo scetticismo degli scienziati deriva dal fatto che non esistono prove scientifiche di natura anatomica o fisiologica a favore di questi meridiani. Da un lavoro pubblicato sul Journal of Clinical Epidemiology emerge che "l'efficacia dell'agopuntura nella cura del dolore cronico resta dubbia", e che "anche negli studi meglio condotti i risultati sono molto contradditori". Secondo gli esperti dell'Associazione Italiana Agopuntura sono circa 6 milioni gli italiani che ogni anno si affidano all'agopuntura, mentre la Società italiana di Farmacognosia (Siphar) dice che sono circa 12mila i medici agopuntori presenti sul territorio. A Milano - fra i migliori centri dedicati all'agopuntura - segnaliamo il Laboratorio di Agopuntura dell'Istituto Scientifico Universitario San Raffaele. Il centro aiuta a risolvere numerose patologie fra cui cervicalgia, cefalee, sindromi ansiose e disturbi del sonno. Per info: 02.2643.2643/2020.

Video diffuso da Mazur Media