lunedì 27 agosto 2012

La chimica dell'Amazzonia


Un bimotore Dornier 228 in volo sul mare verde dell'Amazzonia per fotografare la più grande foresta del mondo come non è mai stato fatto prima, immortalando la sua biodiversità e le aree più sensibili al disboscamento e all'effetto serra. Questo il fine di un ecologista americano, Greg Asner, al lavoro per la Carnegie Institution for Science della Stanford University. Qualcuno ha definito la sua opera “psichedelica”, in virtù di un risultato che ha lasciato stupito non solo chi si occupa di natura e scienza, ma anche artisti della fotografia e designer. Per arrivare a questo traguardo ha utilizzato dei raggi laser, che hanno “bombardato” 400 volte in un secondo la foresta peruviana dell'alto, coprendo una superficie complessiva di 360 chilometri quadrati ogni ora. Si è avvalso di uno strumento battezzato “Lidar, Light Detection and Ranging”, ma anche di uno spettrometro. Con essi – per via dei diversi processi di assorbimento e riflessione della luce, dovuti a fattori “intrinseci” come la qualità degli elementi presenti nei vegetali e l'abbondanza di pigmenti - è stato possibile verificare il “calore” delle piante e le proprietà ottiche della macchia di verde più grande del pianeta. Gli elementi chimici direttamente legati al “metabolismo” vegetale hanno consentito la rivelazione dei primi dati analitici. Da qui si è arrivati, per esempio, a identificare l'altissima percentuale di fosforo in specie come Myoporum sandwicense e l'equivalenza fosforo-azoto in piante come l'Aleurites moluccana. D'altra parte la “lettura” delle foglie ha consentito il rilevamento di alte concentrazioni di carbonio nella Pisonia umbellifera, ma non nella Diospyros sanwicensis. «Le diversità spettrometriche corrispondono in pratica alla diversità filogenetica delle varie piante analizzate», rivela Ansner. «Abbiamo, infatti, evidenziato che è possibile sviluppare dei modelli standard per risalire alle caratteristiche tassonomiche di una data specie». È una proposta che, in realtà, risale a qualche anno fa, con il varo di un nuovo sistema di telerilevamento testato alle Hawaii, in grado di valutare l'invasività delle piante “misurando” la quantità di azoto dei vegetali: «Grazie a questi prodotti altamente tecnologici siamo riusciti a dare per la prima volta un'immagine tridimensionale su larga scala di questa fetta di foresta in corrispondenza del verde peruviano», rivela Asner. «È un lavoro indispensabile per conoscere nei dettagli la realtà eco-sistemica del principale polmone verde della Terra, per avviare nuovi iter di sfruttamento delle risorse, con la consapevolezza di dover innanzitutto salvaguardare il patrimonio naturale». L'impresa serve anche a comprendere i danni provocati dalla grave siccità del 2010: in seguito al disastro naturale sono morti milioni di alberi e la loro assenza – con tutto ciò che comporta l'alterazione degli scambi gassosi su ampia scala - potrebbe arrecare gravi problemi climatici a livello mondiale. L'allarme è stato ribadito anche da Simon Lewis dell'Università di Leeds: «Si tratta di un’area talmente grande che anche un piccolo mutamento nelle sue condizioni può avere un impatto globale». Fino a questo momento, per comprendere la “salute” del più grande polmone della Terra, si è potuto contare solo sulle analisi satellitari, ma da oggi, con questa nuova mappa, sarà possibile indagare le dinamiche ecologiche dell'Amazzonia con una precisione assoluta, permettendo di organizzare operazioni di recupero e salvaguardia con la massima efficienza. La nuova mappa tornerà utile anche al progetto REDD, sigla derivante da “Ridurre le Emissioni da Deforestazione e Degrado). Il riferimento è a un'iniziativa che mira a incrementare il sequestro di carbonio atmosferico, regolamentare le azioni commerciali nella foresta, proteggere le forme viventi che la rappresentano. «REDD non può essere realizzato senza dati scientifici in grado di evidenziare con precisione le quantità di carbonio immense nell'atmosfera», dice Asner. Lo studio ha anche permesso di confrontare lo stato attuale della foresta peruviana con quello del 2009, anno dell'ultima analisi di questa area verde dell'Amazzonia. I dati, però, non sono confortanti: si è infatti visto che una delle principali cause della deforestazione è dovuta all’estensione della presenza di miniere d’oro illegali che interessa il Perù e che nel corso degli ultimi tre anni ha provocato la scomparsa di oltre cento chilometri quadrati di foresta.

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