martedì 29 ottobre 2013

Vita da bar. Perché gli uomini non possono farne a meno


Uomini e donne concepiranno il divertimento in modo diverso, ma è certo che gli appartenenti al cosiddetto sesso forte dovrebbero trascorrere almeno un paio di sere fuori con gli amici, per poter stare bene con se stessi e il mondo che li circonda. Solo così, infatti, migliorano psiche, umore e benessere generale. E' ciò che emerge da uno studio condotto in Inghilterra, che mette, dunque, in allarme gli over trenta di tutti i paesi civilizzati: si dedica troppo poco tempo agli amici, e a lungo andare tutto ciò può avere ripercussioni negative sulla salute. Stando, infatti, alla ricerca condotta dagli scienziati dell'Università di Oxford, solo in una piccola percentuale gli uomini riescono a soddisfare il desiderio di confrontarsi settimanalmente con individui dello stesso sesso, a cui siano legati da un sentimento; non, però, di natura sessuale, come designa correttamente il termine "bromance", che indica una forma di intimità omosociale che porta a dividere esperienze e pensieri senza coinvolgimenti erotici. «Ci vogliono almeno un paio di sere alla settimana per poter concretizzare qualcosa», racconta Robin Dunbar, a capo dello studio, «il tempo necessario per poter dare forma a chiacchierii che altrimenti rimerebbero fini a se stessi, e non porterebbero al miglioramento dello status sociale di un uomo». Non è importante ciò che si decide di fare con gli amici, ma la puntualità con cui ci si vede. Si può, pertanto, andare a giocare a calcetto o a tennis, ma anche semplicemente sedersi in un pub con una media davanti. Basterebbe così poco a rendere l'uomo più sano, saggio e rilassato. Gli uomini che vedono più spesso gli amici, peraltro, guariscono prima dalle malattie e sono mediamente più generosi e servizievoli degli altri. In sostanza ne beneficerebbero tutti, comprese, quindi, mogli e fidanzate che talvolta dissentono dalla volontà del proprio compagno di sgattaiolare via per qualche ora. 


La realtà, però, è molto meno affascinante. Solo due uomini su cinque riescono a dedicare agli amici il tempo che vorrebbero. L'attività sociale dell'uomo medio, si prende circa un quinto del tempo distribuito in un'intera giornata, ma si riflette solo sull'interfaccia offerta da social network e telefono; difficilmente ci si vede fisicamente. E invece è proprio il contatto fisico che serve a migliorare le cose. A cominciare dal riso, che sa essere contagioso solo nel momento in cui può essere vissuto collettivamente e a quattr'occhi; ridere attraverso Facebook è decisamente meno promettente. E significa molto, perché una sana risata apre le porte del benessere, incrementando la circolazione ematica di endorfine, gli ormoni legati all'euforia e alla contentezza. Il numero ideale di amici con cui darsi appuntamento il venerdì sera e magari un altro giorno infrasettimanale? «Quattro», asserisce Dunbar, sostenendo che è questo il numero giusto per incrementare il senso di appartenenza a un gruppo, e migliorare progressivamente lo spessore amicale. David Wallace, scrittore britannico, interpellato a proposito, non usa mezzi termini per sottolineare l'importanza di dedicare sempre più tempo agli amici: «La scienza ci sta dicendo che per stare meglio dobbiamo uscire di più. Bene, alla scienza non si può certo non obbedire». E i risultati si vedrebbero in fretta. A cominciare dai sintomi depressivi, così frequenti in questo periodo di grave crisi, soprattutto in campo maschile, che condivisi fra compagni, possono essere tenuti a bada meglio di tanti medicinali. Sane relazioni sociali determinano inoltre un abbassamento dei valori pressori e il miglioramento di vari aspetti fisiologici legati all'attività digestiva, fortemente compromessa dalla vita frenetica. 

lunedì 21 ottobre 2013

Pioggia o sole? Chiediamolo al nostro corpo


«Mi fanno male le ossa, vuol dire che il tempo sta cambiando». Chi di noi non ha mai sentito la nonna o qualche anziano pronunciarsi in questo modo? Ebbene, ora anche la scienza afferma che c'è davvero corrispondenza fra alcuni malanni fisici e la meteorologia. Il primo a teorizzare questo legame fu Ippocrate, quasi duemilacinquecento anni fa, mettendo in luce soprattutto la relazione fra reumatismi e clima ventoso e umido. In seguito s'è capito che anche molti altri mali dipendono "dal tempo che fa", come l'artrite e l'osteoartrite, sensibilissimi alle variazioni della pressione barometrica e ai cambiamenti repentini di temperatura. Lo stesso vale per disagi "minori", come il dolore pelvico, dentale, cefalico, e le nevralgie del trigemino. Una spiegazione c'è, ed è legata ai valori pressori dell'atmosfera che si ripercuotono su quelli delle articolazioni. Subendo un'alterazione pressoria, ossa, muscoli e tendini, infatti, vanno momentaneamente in cortocircuito, per via del disequilibrio che viene a crearsi all'improvviso fra i liquidi e i gas contenuti in particolari "sacche" anatomiche. Robert Jamison, professore di anestesia e psichiatria all'Harvard University, fa l'esempio di un palloncino pieno d'aria: «Un pallone gonfiato subisce una pressione dall'esterno e dall'interno. Se quella esterna cambia, il palloncino si dilata, ampliando la sua volumetria. Lo stesso accade all'interno delle articolazioni. Ma quando si ha un calo della pressione esterna, determinati tessuti premono sui nervi circostanti, riacutizzando il dolore». Accade soprattutto nei neuropatici. «Il fenomeno è, infatti, molto più comune nelle persone con questo tipo di problema, o anche, semplicemente, un nervo infiammato», afferma Patience White, reumatologa della George Washington University of Medicine. Il legame generale fra problemi fisici e clima e la capacità indiretta, quindi, di prevedere "che tempo farà" in base alle condizioni psicofisiche, è confermato dai dottori comuni, che dicono di ricevere molte più visite quando il clima cambia e la temperatura e la pressione subiscono grossi contraccolpi. «Tanto evidente è il repentino cambiamento climatico, tanto maggiore sarà l'incremento del dolore», dice Aviva Wolff, dell'Hospital for Special Surgery di New York, benché il clima influenzi in modo diverso ognuno di noi. Per esempio s'è visto che in Canada, quando soffia un vento particolare, in alcuni soggetti si ha un sopimento dei dolori nevralgici, in altri un aumento dei fastidi legati all'emicrania. I sintomi possono "accendersi" anche molte ore prima di un certo cambiamento climatico. Fino a tre giorni prima. L'arrivo di una perturbazione è preceduta da dolori che riguardano la colonna vertebrale, il nervo sciatico, qualunque tipo di articolazione. Anche il cuore e la psiche ne risentono. Tachicardia, palpitazioni e ansia, sono molto frequenti con il calo della pressione barometrica. Freddo e gelo sono, invece, collegati a casi di ictus, infarto, e morte cardiaca improvvisa. Il rischio d'ischemia incrementa del 7% per ogni calo di 10 gradi di temperatura. Alcuni malati, infine, dicono che le proprie articolazioni sono più affidabili dei bollettini meteorologici e non hanno tutti i torti. Il Wall Street Journal di ieri cita l'esperienza di Bill Bladeraz, trentottenne dell'Ohio, presidente di una società di digital marketing di Columbus. «Un giorno di sole splendente lasciava presagire a un dopopranzo eccezionale, ma io accusavo dolori fortissimi per via dell'artrite e avrei sfidato qualunque metereologo a dire che il tempo sarebbe rimasto lo stesso». Aveva ragione: il pomeriggio è sorto un potente uragano che si è abbattuto su tre stati americani, con venti fortissimi e piogge scroscianti.  

martedì 15 ottobre 2013

Donne e depilazione, una storia lunga 4000 anni


Le donne che si depilano di più? Le inglesi. Lo affermano vari studi europei raccolti dalla Wilkinson Sword. Gli esperti ritengono che le signore e le ragazze che abitano aldilà della Manica tengono di più delle altre europee all'igiene e alla moda, ed è per questo che eliminano con più facilità i peli superflui dal proprio corpo. Il 90% delle inglesi si depila. A seguire ci sono la Spagna, dove le donne si depilano nel’80% dei casi, la Francia (75%), l’Italia (73%), e il Belgio (67%); mentre per le tedesche la depilazione non sembra essere una priorità: in Germania solo 4 su 10 si affidano a questa consuetudine. Ma con quali tecniche e strumenti si depilano le donne? Dipende dalle usanze e dalle mode che caratterizzano ogni nazione. In Gran Bretagna, per esempio, le donne ricorrono abitualmente alle lamette, così come in Germania. In Belgio invece si è soliti usufruire di creme e rasoi. In Spagna, oltre alla rasatura con lametta, sono molto utilizzate le pinzette e la cera. Le italiane, invece, impiegano soprattutto le lamette, ritenendo la ceretta troppo dispendiosa in termini di tempo e denaro. Rasoi elettrici e pinzette, in generale vengono utilizzati meno. La depilazione non è cosa recente. Le prime donne che hanno iniziato a svolgere questa pratica risalgono al tempo degli Egizi, 4mila anni fa. Erano solite rasarsi le parti pubiche: un corpo liscio e senza peli (con l’eccezione dei capelli) rappresentava lo standard della bellezza, della giovinezza e dell’innocenza. Il risultato era ottenuto attraverso creme particolari, a base di miele e oli. Anche in Grecia il costume fu mantenuto. Le donne con peli pubici erano considerate detestabili e la depilazione era in voga soprattutto nei ceti più elevati. A Roma le ragazze eliminavano i peli non appena questi apparivano utilizzando apposite pinzette. Questa abitudine proseguì nel tempo e cadde in disuso solo con l’avvento della famiglia dei Medici,  in particolare di Caterina de Medici la quale proibì la depilazione alle donne in gravidanza. Il boom della depilazione è riscoppiato con la pornografia negli anni Sessanta. 

lunedì 7 ottobre 2013

Frequente, ma troppo veloce: la "sociologia" del sesso in Italia

10 min il tempo necessario per sesso

Correva l'anno 1986, quando la pop star Madonna esordì con il video singolo Papa Don't Preach, nel quale compariva con una tshirt riportante la frase "Italians do it better" (gli italiani lo fanno meglio). Il riferimento, chiaramente, era all'idea che gli abitanti del Belpaese fossero i migliori a letto. Sarà davvero così? Non proprio, stando a uno studio condotto da DoxaPharma, che verrà discusso l'8 ottobre nel corso del congresso nazionale della Società Italiana di Urologia (Siu) e dell'Associazione Ginecologi Ospedalieri Italiani (Aogoi). Emerge, infatti, un dato che lascia qualche dubbio: nel 25% dei casi la durata media di un rapporto sessuale in Italia dura meno di due minuti; mentre un famoso studio condotto dalla Society for Sex Therapy and Research di Washington ritiene che, per essere veramente appagante, dovrebbe essere compreso fra i 7 e i 13 minuti. E' vero che la qualità ha più importanza della durata, tuttavia psicologi e andrologi concordano nel dire che sotto i due minuti non c'è nemmeno il tempo "fisiologico" per provare vero piacere. Sono gli italiani stessi a lamentarsi, pur ammettendo in media di fare l'amore nove volte al mese (per un totale di 108 rapporti all'anno), un parametro superiore allo standard mondiale.
Altri dati confermano un certo malcontento: il 70% degli abitanti dello Stivale lamenta una generale insoddisfazione fra le lenzuola, e almeno 800mila coppie rischiano il patatrac proprio per questi motivi. Ma le difficoltà a letto potrebbero anche dipendere da un fattore psicofisico ben preciso: l'eiaculazione precoce. Secondo l'indagine di DoxaPharma molti italiani soffrono di questo disturbo (dal 30 al 70%) e solo in rari casi sanno affrontare adeguatamente il problema. Procastinare l'intervento del medico, in particolare, dell'andrologo, può essere deleterio per la coppia che si logora e perde sempre più fiducia in sé: l'uomo smarrisce l'autostima e la donna, non sapendo come gestire il limite del partner, spesso diviene insofferente, incrementando il disagio maschile.
Quando si può parlare di eiaculazione precoce? L'International Society of Sexual Medicine indica un problema reale quando, durante la maggior parte dei rapporti, l'eiaculazione avviene entro uno o due minuti dalla penetrazione. Si parla di eiaculazione precoce grave, quando l'uomo eiacula dopo tre movimenti coitali o ancor prima della penetrazione. Può essere dovuta a deficit organici, riguardanti l'attività prostatica, tiroidea, uretrale; ma anche l'azione masturbatoria, in determinati contesti, può favorire l'evoluzione di una particolare muscolatura a discapito della capacità di raggiungere l'orgasmo in tempi idonei al soddisfacimento della coppia. Spesso l'handicap sessuale è di origine nervosa, psicosomatica. Per Freud era riconducibile a "pulsioni sadiche, intense e inconsce dell'uomo nei confronti della donna". Molto più prosaicamente la psicologia riconduce il problema all'ansia da prestazione, ossia alla difficoltà di molti maschi di affrontare in modo maturo e consapevole un'esperienza sessuale. Qualunque sia la causa, assicurano gli esperti, l'eiaculazione precoce può essere facilmente sconfitta: con l'ausilio di antidepressivi, la circoncisione, l'impiego di creme anestetiche, la fitoterapia, la terapia cognitivo-comportamentale.


BOX

Contro il declino cognitivo o, in generale, la perdita di freschezza mentale, è molto più efficace il sesso che non la "ginnastica cerebrale", legata all'abitudine di cimentarsi in passatempi come il sudoku o l'enigmistica. E' il parere di Barry Komisaruk, della Rutgers University, in USA. Lo scienziato, che da anni lavora sull'orgasmo femminile, dice che il piacere sessuale ha ripercussioni benefiche sull'intero cervello, mentre i tradizionali "esercizi per la mente", riflettono solo specifiche aree cerebrali. «Durante l'orgasmo si ha un enorme incremento di afflusso sanguigno», afferma Komisaruk, «il sangue porta i nutrienti e garantisce l'omogenea ossigenazione dell'organo cerebrale». 

(Pubblicato su Il Giornale il 30 settembre 2013)

martedì 1 ottobre 2013

La Tour Eiffel... a Londra


Corre il 1889 e Parigi sta per inaugurare il suo monumento più celebre: la Tour Eiffel. Londra guarda da lontano, ma si rende conto che, per tenere testa alla metropoli con cui è da sempre in competizione, ha un solo modo: costruire qualcosa di analogo, in grado di provocare nell'opinione pubblica mondiale lo stesso clamore. E' partendo da questo presupposto che nel mese di novembre dello stesso anno giungono agli amministratori della città 68 progetti, messi a punto dai più brillanti architetti in circolazione. Molti scimmiottano il capolavoro di Eiffel, alcuni propongono bizzarrie avveniristiche quasi improponibili (tipo far camminare all'interno della torre un trenino per trasportare in cima i turisti), altri design che potrebbero davvero mettere in imbarazzo i francesi. Alla fine vince il progetto 37 e la costruzione della Great Tower for London può avere inizio. Peccato, però, non avere fatto i conti con la geologia del territorio, ben diversa da quella continentale; gli inglesi, infatti, incappano subito in problemi irrisolvibili: l'eccessiva fangosità del terreno non è in grado di supportare il peso della torre e dopo appena 47 metri di ferri puntati verso il cielo, i lavori devono interrompersi. La base della torre rimane visibile fino al 1904, anno in cui viene definitivamente soppressa per fare spazio al Wembley Stadium.
Ma la storia della "Tour Eiffel inglese" è solo una fra le tante riguardanti opere architettoniche di grande spessore che non hanno mai visto la luce. Un altro celebre esempio è quello del Lincoln Memorial che sarebbe dovuto sorgere a Washington. Venne proposto nel 1912 da John Russell Pope, geniastro con il pallino per l'archeologia egizia e per i capolavori precolombiani. Pensò, infatti, di creare un "monumento classico" nel cuore degli Stati Uniti, che ricordasse il più possibile le piramidi della piana di Giza. C'è chi dice che lo fece solamente per dare scandalo, non avendo gradito nessuno dei progetti in circolazione. Sappiamo, in ogni caso, che non è andato in porto, e che al suo posto è sorto il "tempio dorico" di Henry Bacon, inaugurato nel 1922.
Audaci promotori di opere mai realizzate furono anche alcune fra le figure dittatoriali più in vista del Ventesimo secolo. Stalin, per esempio, ordinò la costruzione di un super edificio, dove collocare il suo quartier generale, in occasione della fine del suo primo piano quinquennale. Partirono i lavori nel 1937 sotto la supervisione di Boris Iofan, architetto affascinato tanto dal neoclassicismo, quanto dalla volontà di costruire il più grande edificio del mondo, obbedendo ai rigori del "titanismo" sovietico. Scoppiò la seconda guerra mondiale e anche questa idea mastodontica si perse nell'oblio: dopo aver ospitato per anni la più grande piscina del pianeta, ha lasciato il posto alla cattedrale di Cristo Salvatore. L'opera che invece avrebbe voluto realizzare Adolf Hitler risponde al nome di "Welthauptstadt"; non un solo monumento, ma addirittura un'intera città. Il riferimento è, infatti, alla "capitale del mondo", Berlino, che Hitler immaginava di poter ricostruire alla fine della seconda guerra mondiale, con un lunghissimo "Viale della Vittoria", terminante in corrispondenza di un gigantesco "Arco di Trionfo" e da costruzioni ispirate all'architettura romanica. Si effettuarono dei sopralluoghi nel corso del conflitto bellico, per valutare le caratteristiche litologiche dell'aria interessata, ma la fine del nazismo azzerò qualunque mania hitleriana. E in Italia? Anche da noi pullulano progetti di opere incompiute. Una delle più significative è quella dell'Arco per l'Esposizione Universale del 1942, chiamato anche Arco della luce; sarebbe stato più alto della Tour Eiffel.
Ancora oggi, comunque, abbiamo casi di progetti architettonici caduti nel dimenticatoio, come Sesena, detta anche la Manhattan di Madrid. Nata per accogliere almeno 30mila persone, è un mortorio: delle 13mila case progettate prima della crisi, ne sono state costruite solo cinquemila, e la maggior parte sono disabitate. Più vicino a noi, invece, l'idrovia Ticino-Mincio, una via d'acqua di 550 chilometri: pensata per mettere in collegamento la Svizzera al Mar Adriatico rimane, per ora, un progetto sulla carta. 

(Pubblicato il 25 settembre su Il Giornale)