giovedì 30 gennaio 2014

Altezze medievali


Tra il nono e l’undicesimo secolo gli europei erano molto più alti di chi visse nel periodo della rivoluzione industriale, e in tutti gli altri precedenti il Ventesimo secolo. È ciò che emerge da uno studio diretto da Richard Steckel dell’Ohio State University: lo scienziato ha condotto un'analisi su una trentina di studi effettuati nei decenni su migliaia di reperti scheletrici, appartenuti a individui vissuti in passato nella penisola scandinava, in Islanda, in Gran Bretagna e Danimarca. Ha visto che nel Medioevo, periodo storico ritenuto tra i più “bui” perché privo delle condizioni ideali per vivere, si stava in realtà molto meglio rispetto, per esempio, alla fase rinascimentale e ai secoli successivi dell’Illuminismo e dell’avvento delle prime macchine tecnologiche. Secondo l’esperto l’altezza media degli uomini del Medioevo fu  inferiore solo a quella della nostra epoca. Perché l'uomo, alto nel Medioevo, è diventato più piccolo, per ricrescere, infine, nel Ventesimo secolo? Steckel ritiene che furono principalmente due le cause del fenomeno: la “Peg”, ovvero la piccola età glaciale, e la diffusione della peste. Afferma che dalla metà del Quattrocento alla metà dell’Ottocento circa l’Europa fu contraddistinta da un repentino abbassamento delle temperature medie, che inevitabilmente influenzò i raccolti, compromettendo di conseguenza l’alimentazione e la crescita in altezza degli uomini (è noto infatti che oggi si diventa sempre più alti principalmente perché si gode di una buona alimentazione). Allo stesso modo negli anni successivi al Medioevo, con la diffusione dei commerci su larga scala, si ebbero varie epidemie di peste che decimarono la popolazione e che ancora una volta privarono gli uomini del cibo, compromettendo il loro sviluppo. 

martedì 28 gennaio 2014

Scuola e crisi di pianto: ecco il nesso


Attenzione ai bimbi che piangono troppo: il rischio è che in futuro possano avere difficoltà a scuola e nei rapporti con il prossimo. Lo dice una ricerca condotta da scienziati statunitensi ed europei del National Institute of Health e della Norwegian University of Science and Technology. Gli esperti hanno analizzato il comportamento di 327 bambini a sei settimane dalla nascita e dopo cinque anni. E hanno rivelato che coloro che durante la prima infanzia erano maggiormente soggetti a crisi di pianto, una volta raggiunta l’età scolastica presentavano un quoziente intellettivo minore della media e inoltre atteggiamenti comportamentali al limite della patologia. I ricercatori hanno potuto evidenziare in talune situazioni sindromi di iperattività, comportamenti aggressivi, e varie altre manifestazioni che in ogni caso denotano il profondo disagio di una personalità che in fase di sviluppo fa fatica a rapportarsi ai coetanei e in generale al mondo extra familiare. Anche a Bristol, in Inghilterra, è stata condotta una ricerca analoga. In essa gli scienziati hanno messo in luce che i bambini appena nati che si lamentano di più, sono quelli che una volta grandicelli a scuola impareranno più lentamente degli altri e otterranno voti nettamente inferiori alla media dei compagni. Ma cosa si nasconde dietro al pianto forsennato di alcuni infanti e al rischio che questi crescano con gravi deficit comportamentali? Secondo la psicoterapeuta corporea e sessuologa fiorentina Matelda Tagliaferri il problema risiede essenzialmente nell’ambiente che il bimbo incontra una volta venuto al mondo, e all’armonia o meno che in esso regna: “È necessario che si instauri un corretta ‘corrispondenza empatica’ tra i bimbi e i genitori – ha spiegato la studiosa italiana – nel senso che è indispensabile che una mamma o un papà sappiano comprendere le esigenze del proprio figlio, aldilà di quello che può apparentemente sembrare. Se ciò non accade il bimbo cresce con dei bisogni insoddisfatti che a lungo andare interferiscono negativamente sulle sue capacità intellettuali e cognitive”. Lo studio statunitense ha soprattutto posto in risalto il fatto che, bambini che durante l’infanzia non sono stati capiti correttamente, presentano un quoziente intellettivo addirittura di nove punti inferiore al livello standard per l’età di riferimento. “È un dato allarmante – ha continuato Tagliaferri – in particolare se si tiene conto del fatto che l’intelligenza umana non è solo un aspetto legato ai numeri e al ragionamento. Ma è soprattutto un modo per rapportarsi al mondo e saper raccogliere le opportunità che esso ci offre”. Infine i ricercatori hanno sottolineato che i motivi che inducono al pianto un neonato di solito non sono così difficili da comprendere. Semplicemente, come ha ammesso Tagliaferri, basterebbe rendersi conto della reale necessità di instaurare con il proprio piccolo una giusta ‘corrispondenza empatica’. Pertanto un bimbo può piangere per fame o sete: il pianto è breve o ritmico, sempre più intenso se il bambino non viene soddisfatto; per dolore: è un pianto disperato, inconsolabile, che può durare a lungo (anche ore), provoca sudorazione e viso paonazzo; per fastidio: se è stanco o annoiato il bambino piagnucola in modo lamentoso; per sfogo: a volte il bambino piange prima di addormentarsi. È un pianto che si attenua a poco a poco e serve a scaricare un po' di tensione.

venerdì 24 gennaio 2014

Un'incredibile storia d'amore


Protagonista di questa storia è Connor Rabinowitz, cittadino di Minneapolis, USA, vittima di una patologia cardiaca di origine genetica. Raggiunta la maturità abbisogna di un cuore nuovo che arriva da Kellen Roberts, 22enne perito durante un incidente. Dopo un anno dall'intervento decide di mettersi in contatto con la famiglia Roberts per ringraziarla. E qui avviene una specie di miracolo. Rabinowitz incontra la sorella del donatore, Erin Roberts, e s'innamora perdutamente di lei; a prima vista. «Entrambi abbiamo avuto la netta sensazione che Kellen abbia voluto unirci», rivela, oggi, Connor. Ma come sono andate esattamente le cose e come si pronuncia la scienza in casi simili?
E' il 2004. Connor ha 17 anni. Di tanto in tanto non sta bene. A novembre accusa i banali sintomi di un'influenza. Si sveglia sudato nel pieno della notte e ha la febbre. Ma le analisi rivelano tutt'altro: il suo cuore non è più autonomo, per sopravvivere ha bisogno di un trapianto. Inizia la spasmodica attesa di un donatore. Kellen abita nel South Dakota, e sciaguratamente finisce a fare pugni per un motivo qualunque. Cade e pesta la testa sul cordolo di un marciapiede. Le ferite sono gravissime. E in poco tempo spira. La famiglia è d'accordo nel volere donare i suoi organi; uno dei quali, il cuore, giunge a Connor. Il ragazzo malato si salva e riprende a condurre una vita pressoché normale, anche se non è facile abituarsi a ridere e a scherzare grazie al cuore di un altro. «Mi sentivo indegno», racconta Connor a un tabloid inglese, «non è stato facile superare i problemi psicologici derivanti da un intervento come il mio». Lo aiuta, però, un'idea: scrivere una lettera di ringraziamento alla famiglia Roberts. 
C'è l'anonimato per la famiglia del donatore, ma attraverso una serie di passaggi burocratici riesce a mettersi in contatto con Nancy, la madre di Kellen. «La signora Roberts ha messo la sua mano sul mio petto, ed è stata un'esperienza unica», dice Connor; «in quel frangente ho visto Erin per la prima volta». L'attrazione è reciproca, ma c'è il timore che possa trattarsi di suggestione e, comunque, c'è il vincolo della differenza di età: lei è di otto anni più grande. Si lasciano, ma tornano in contatto nel 2010, grazie a Facebook. Con il social network le cose cambiano. «Era ancora troppo giovane per me», rivela Erin, «tuttavia dopo averlo risentito non sono più riuscita a non pensare a lui». C'è solo il problema del domicilio: Connor abita a Minneapolis, Erin a Seattle. Inizia una relazione a distanza, spesso ostacolata dalla famiglia di lei, non ancora convinta di un amore così "particolare". Qualcuno le chiede se non le sembra di avere una relazione con un fratello o un cugino. Ma ai veri sentimenti è impossibile negarsi. Insieme ripartono da Seattle, dove ancora oggi la loro incredibile love story va avanti, vegliata da quel che loro stessi definiscono un "angelo custode" molto speciale: «Quando sento la mancanza di mio fratello, appoggio la guancia sul petto di Connor e gioisco nel sentire un cuore così energico e vitale».
La vicenda di Connor ed Erin non è unica. Altrettanto clamore ha fatto la notizia di Claire Sylvia, 47enne americana che ha ricevuto nel 1988 cuore e polmoni. S'é risvegliata con un'incredibile voglia di birra e con un debole per le donne piccole e bionde; benché prima dell'intervento fosse astemia ed eterosessuale. In seguito ha scoperto che il donatore era un diciottenne fidanzato con una ragazza di bassa statura, amante di pinte e patatine fritte. La scienza va cauta, tuttavia le statistiche ritengono che, almeno in un caso su tre, ricevendo l'organo di un'altra persona, si finisce per assomigliare un po’ al donatore. Si parla di "memoria cellulare". Ma l'intellighenzia scientifica smentisce: a parte i neuroni, le altre cellule vengono continuamente sostituite. Restano i sentimenti, certo, evidentemente tutt'altra cosa.

mercoledì 22 gennaio 2014

Cina: a rischio la Grande Muraglia


La Grande Muraglia cinese va a pezzi. Lo dicono alcuni archeologi cinesi. L’erosione naturale, i  vandalismi, il turismo di massa sono le principali cause del disastro. Secondo gli esperti dei 6.700 chilometri originari ne rimane solo un terzo intatto: la restante parte non esiste più o è stata irrimediabilmente danneggiata. Dalla muraglia vengono prelevati ingenti quantità di pietre e mattoni per costruire altri edifici nel circondario. Mentre le sue torri e i suoi fortini si sono trasformati in granai, porcilaie, e luoghi ideali dove imprimere le proprie iniziali (i murales sono arrivati anche lì). Interi tratti sono stati abbattuti per fare spazio a strade e autostrade. I tentativi di restauro si accavallano di anno in anno, ma i fondi non sono mai sufficienti a portare a compimento l’opera. La grande muraglia fu costruita in più riprese sempre con lo stesso scopo: difendersi dalle invasioni provenienti da nord. In seguito si è trasformata in un importante via di comunicazione. Il primo tratto risale al IV secolo a.C. La muraglia ha una altezza variabile tra i 5 e i 10 metri e un notevole spessore anche di 7 metri alla base 4 al vertice. Ogni 200 metri circa di eleva una torre di guardia. 

venerdì 17 gennaio 2014

DESTINI INCROCIATI


In ventisei ore se ne sono andati tutti e tre, legati da un destino che pare abbia voluto sincronizzare il loro ultimo respiro: quello dei fratelli Bravo della provincia di Treviso, Antonio, Angelo e Maria. Un evento più unico che raro, che diviene del tutto incredibile se si considera anche la scomparsa, nello stesso arco temporale, di un cognato. Il primo a spegnersi è stato Angelo Bravo, alle prime luci dell'alba di venerdì scorso, a Cà Rainati di San Zenone degli Ezzelini; è spirato nel sonno, pochi giorni dopo aver lasciato il nosocomio; Antonio l'ha seguito una manciata di ore più tardi, ricoverato da tempo in una casa di cura di Crespano; e sabato mattina è stata la volta della sorella Maria, degente in un ospedale di Bassano. Antonio era il più "grande", aveva novant'anni (come il cognato Andrea Vettorello); Angelo "Giovanni" ne aveva ottantasei e la sorella Maria, ottantuno. E' vero che ognuno di essi era piuttosto avanti con l'età, e che erano tutti malconci, ma il fatto che siano scomparsi in così poco tempo l'uno dall'altro, si potrebbe dire quasi contemporaneamente, ha del sensazionale.
La comunità di Cà Rainati si è stretta intorno alla famiglia Bravo, esterrefatta dal susseguirsi di lutti. I Bravo, del resto, erano ben noti nel circondario, e stimati per la serietà che li contraddistingueva soprattutto in ambito lavorativo. Angelo governava i terreni e il bestiame, retaggio del padre emigrante; lo stesso lavoro del fratello Antonio, a capo di un'azienda agricola, dopo aver tentato la fortuna in Belgio, in giovane età; Maria era molto conosciuta per la sua attività di magliaia e per aver affiancato per anni il figlio Dante nella coltivazione degli asparagi. Erano otto fratelli, con la scomparsa di Angelo, Antonio e Maria, rimangono Aldo, suor Maurina delle Dorotee di Asolo e Teresina.
Benché eccezionali, notizie del genere non sono uniche. Altrettanto clamore ha destato poco tempo fa la scomparsa pressoché simultanea di una coppia sposata da 66 anni, Jerry ed Edith Dunn, due anziani di Spanish Fork, piccolo centro dello Utah. Entrambi nati nel 1931, sono scomparsi a distanza di nove ore l'uno dall'altro. Messa peggio era Edith, che negli ultimi tempi soffriva di demenza senile e diabete. Ogni giorno Jerry si alzava alle cinque per accudirla e accompagnarla alle sedute di dialisi alle quali era costretta da tempo. Alla fine, per colpa di una brutta caduta, il capofamiglia ha perso le forze, fino a spegnersi. Pareva che Edith se l'aspettasse, tanto che, seppur minata dall'Alzheimer, s'è accorta dell'assenza del marito, ed è morta poco dopo.
Di fronte a eventi simili anche la scienza si interroga, chiedendosi se non esistano prerogative della neurologia che possano spiegare fenomeni di questo tipo, tali per cui pare che qualcuno possa essere in grado di percepire la scomparsa di un famigliare e per questo motivo anticipare la propria dipartita. In realtà tutto ciò è appannaggio della parapsicologia che la scienza pura dileggia. Piuttosto è lecito occuparsi del cosiddetto "orologio biologico" e della genetica. Gli scienziati del Beth Israel Medical Center di Boston ritengono, per esempio, che un gene battezzato "Periodo 1", possa suggerire il momento del trapasso in base all'abitudine di coricarsi presto o tardi; mentre la lunghezza dei telomeri (regione terminale di un cromosoma), potrebbe spiegare la longevità di un individuo. Tutto ancora da confermare e nulla che possa, dunque, spiegare l'incredibile destino dei tre fratelli Bravo. 

mercoledì 8 gennaio 2014

L'economia della felicità


Chi l’avrebbe mai detto che un giorno saremmo addirittura riusciti a dare un valore economico al sesso, all’amore, e ai sentimenti. Nell’impresa ci sono riusciti due economisti inglesi, David Blanchflower e Andrei Oswald: il primo è docente di economia presso l’università di Warwick in Gran Bretagna, il secondo lavora al Darsmuth College, in Usa. Insieme hanno scritto diversi saggi riguardanti alcuni lavori relativi all’andamento dei salari nei paesi anglosassoni, ma soprattutto hanno tentato di quantificare in termini monetari un po’ tutte le esperienza della vita, comprese appunto quelle concernenti le esperienze sessuali e sentimentali delle persone. Hanno stimato che aumentare per esempio la frequenza dei rapporti sessuali da una a quattro volte al mese, dà la stessa felicità di trovarsi 50 mila dollari in più nella busta paga. Mentre un matrimonio lungo e sereno garantisce 100mila dollari l’anno di felicità. Da ciò si evince che un single per essere soddisfatto come una persona felicemente sposata, dovrebbe ricevere 100mila dollari ogni dodici mesi. Blanchflower e Oswald hanno stabilito il valore economico di ogni emozione valutando i livelli di felicità di 16mila persone coinvolte in una serie di test effettuati dall’inizio degli anni Novanta al 2003. Hanno in pratica applicato delle leggi economiche composte da formule matematiche e variabili numeriche ai valori “sentimentali” delle persone intervistate, riuscendo per la prima volta a mettere verosimilmente in relazione il mondo razionale dei numeri all’irrazionalità del pensiero e delle ragioni del cuore. Si è quindi giunti a comprendere che chi fa sesso è più felice e soprattutto economicamente più ricco di chi ne fa a meno, e che in particolare chi vive un buon matrimonio è molto più benestante di chi guadagna maggiore denaro ma ha una vita sentimentale burrascosa. Nello studio sono stati coinvolti anche gli omosessuali e anche in questo caso è emerso che il prezzo di un'unione felice corrisponde né più né meno che a 45mila euro in più sul conto corrente. Con questo studio inglese si ha finalmente la prova matematica che non è il denaro a fare la felicità: in Australia in particolare l'Istituto della Felicità ha fatto sapere che solo il 10% del benessere fisico e psichico arriva dal reddito e da altri fattori finanziari, mentre oltre il 90% è frutto delle attitudini, del controllo della propria vita, e delle relazioni sociali. 

Grattacieli green: la nuova scommessa dell'architettura


Sorgerà entro il 2023, a Stoccolma, il grattacielo in legno più alto del mondo. 34 piani di architettura bio-sostenibile, ideata dalla CF Moller Architects in collaborazione con Dinell Johansson. Se si esclude la parte interna in calcestruzzo, indispensabile a reggere la struttura, tutto il resto sarà realizzato con prodotti derivanti dall’industria del legname. Massima l’attenzione riservata all’energia pulita. Si pensa infatti a un sistema basato sull’azione di pannelli fotovoltaici in associazione a una pompa geotermica, in grado di ricavare calore direttamente dal sottosuolo. Altrettanto significativo l’aspetto legato al design, con lo sviluppo di una silhouette architettonica elegante e raffinata, capace di fornire ai vari appartamenti e uffici che la comporranno, la massima luminosità. Qua e là sparsi dei giardini pensili, punto ideale per socializzare, ma anche strategia vincente per non disperdere calore. La struttura ospiterà inoltre orti urbani, asili nido e depositi di biciclette.
La nascita del nuovo e avveniristico grattacielo scandinavo coincide, dunque, con una nuova esigenza urbanistica: dare vita a costruzioni che prima di ogni altro parametro, rispettino l’ambiente. Fino a una decina di anni fa la priorità di città e nazioni era, infatti, dimostrare la propria “potenza” costruendo i grattacieli più alti o più “originali”: si va dall’Empire State Building statunitense, realizzato nel 1929, alto 381 metri, per arrivare ai giganti dell’estremo oriente, come la Shanghai Tower, alta 632 metri, iniziata in Cina, nella città omonima, nel 2008 e non ancora finita. Oggi, invece, si lavora soprattutto in funzione dell’eco-sostenibilità. Importa meno far sapere al mondo di essere capaci di costruire dei grattacieli giganteschi; ma è fondamentale rendere noto che si è in grado di progettare costruzioni ragionando in termini ecologici. L’opera che vedrà la luce a Stoccolma, di fatto, è solo l’ultimo esempio di un progetto architettonico esplicitamente green. Ce ne sono in fase di elaborazione un po’ in tutte le città del mondo, alcuni già conclusi: Rotterdam (Urban Cactus), Londra (Waugh Thistleton Residential Tower), Dubai (Burj Al-Taqa), New York (Hearst Tower), sono alcuni esempi.
La stessa città di Milano sta lavorando per anteporre l’aspetto ambientale alla boria di espandere i propri confini verso il cielo. Il riferimento è alla Torre di Porta Nuova Garibaldi, l’edificio più alto d’Italia. 231 metri di pareti splendenti, figlie di un approccio ingegneristico di grande spessore, colpisce tanto per la sua modernissima linea, quanto per l’eccezionale attenzione che è stata riservata al risparmio energetico e agli stratagemmi per consumare meno e risparmiare di più. Fa parte di un compound di tre edifici che hanno rivoluzionato lo skyline meneghino, da poco premiati con la prestigiosa  “certificazione di sostenibilità Leed Gold”. Si sono ottenuti importanti risultati come il 22,5% di risparmio energetico totale (rapportato a un complesso architettonico analogo); il 37,3% di riduzione dell’utilizzo di acqua potabile; il 100% di riutilizzo di acqua piovana. Per non parlare dei numerosi materiali utilizzati per la sua costruzione, derivanti dal riciclo, comprese frazioni di metalli ferrosi con cui è stata realizzata la famosa guglia della Torre.
In India desta altrettanto scalpore la Namaste Tower (dal nome di un saluto indiano), grattacielo che dovrebbe essere pronto fra un paio d’anni, a Mumbai. Alto “solo” trecento metri, è stato pensato per impattare il meno possibile sull’ambiente. È infatti munito di collettori solari termici, dai quali deriva il 12% dell’acqua utilizzata dai clienti del futuro hotel. Anche qui, come nel caso di Stoccolma, si riflette sulla realizzazione di giardini pensili ideati non solo per isolare, ma anche per migliore la qualità dell’aria di appartamenti, uffici e sale conferenze. Notevole, infine, anche l’esperienza del Bahrain World Trade Center Towers, concluso nel 2008 a Manama, capitale del Baharain. Alto 240 metri ha ricevuto numerosi riconoscimenti per la sua progettazione in chiave “green”; funziona grazie all’azione di tre eliche da 225kW, in grado di fornire 1100 megawatts all’anno, circa il 15% del consumo energetico totale. 

lunedì 6 gennaio 2014

Dimmi cosa bevi e ti dirò per chi... voterai


Vodka, whisky, vino. Ogni persona, in fatto di bere, ha i suoi gusti. Ma in pochi sanno che il bicchiere preferito è anche in grado di suggerire l’inclinazione politica del bevitore. È questo il succo di un nuovo studio condotto negli Stati Uniti da GfK-MRI, con il coinvolgimento di circa 50mila persone. I dati rivelano che i bevitori di whisky, di bourbon e di altri liquori di colore scuro, appartengono soprattutto alla schiera dei repubblicani; al contrario, i consumatori di alcolici dalle tinte chiare, come il gin, il cognac, o la vodka, sono assimilabili ai democratici. Anche spumante e champagne – con cui tipicamente si saluta l’arrivo del nuovo anno – risponderebbero meglio alle esigenze di questa fila politica.
Differenze anche per ciò che riguarda la scelta del vino. I repubblicani optano per il Robert Mondavi, della Napa Valley, simbolo universale del vino e del cibo degli statunitensi; i democratici, per prelibatezze come il Chateu Ste, vino rosso della Columbia Valley. Un altro dato interessante indica che gli elettori democratici consumano più varietà di alcolici, ma solo i repubblicani prediligono quelli “più forti”; mentre chi non si fa troppi scrupoli a disertare le urne, a un classico bicchiere di vino, preferisce qualcosa di più “spinto”, come una tequila o un amaro. Ci sono anche prodotti bipartisan, come alcuni tipi di rum o bevande alcoliche a base di cocco. Ma la storia non va di pari passo con i risultati della ricerca.
Harry Truman, 33esimo presidente degli USA, per esempio, beveva bourbon con grande spigliatezza, benché fosse democratico. Idem il discorso per figure come il presidente americano George W Bush che beveva soprattutto vodka e martini, tipicamente riconducibili all’elettorato oggi presieduto da Barack Obama. D’altra parte non ci sono dubbi relativamente alle preferenze alcoliche di qualunque figura di spicco della politica russa, debitrici in tutto e per tutto del più famoso distillato di patate. Pare, dunque, che non ci sia una precisa corrispondenza fra la ricerca americana e la realtà, tuttavia uno studio analogo condotto in Inghilterra, rivela che le bevande alcoliche preferite possono verosimilmente essere messe in relazione a tipologie caratteriali specifiche.
Si è infatti visto che gli amanti del buon vino rispecchiano nella maggior parte dei casi persone mature e affidabili; mentre la birra o il rum, individui molto più estroversi, ma anche più incoerenti. Vino bianco e vodka riflettono figure dotate di grande intraprendenza e autorevolezza; tequila e gin uomini e donne tranquilli e in pace con se stessi. Difficile, insomma, arrivare a una conclusione definitiva, ma suona interessante ricordare una massima di Charles Baudelaire, secondo il quale “chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere”: alla stessa stregua è lecito supporre che chi si dà al vino e agli alcolici, abbia segreti che non teme di svelare proprio grazie a ciò che sceglie di bere.