martedì 28 gennaio 2014

Scuola e crisi di pianto: ecco il nesso


Attenzione ai bimbi che piangono troppo: il rischio è che in futuro possano avere difficoltà a scuola e nei rapporti con il prossimo. Lo dice una ricerca condotta da scienziati statunitensi ed europei del National Institute of Health e della Norwegian University of Science and Technology. Gli esperti hanno analizzato il comportamento di 327 bambini a sei settimane dalla nascita e dopo cinque anni. E hanno rivelato che coloro che durante la prima infanzia erano maggiormente soggetti a crisi di pianto, una volta raggiunta l’età scolastica presentavano un quoziente intellettivo minore della media e inoltre atteggiamenti comportamentali al limite della patologia. I ricercatori hanno potuto evidenziare in talune situazioni sindromi di iperattività, comportamenti aggressivi, e varie altre manifestazioni che in ogni caso denotano il profondo disagio di una personalità che in fase di sviluppo fa fatica a rapportarsi ai coetanei e in generale al mondo extra familiare. Anche a Bristol, in Inghilterra, è stata condotta una ricerca analoga. In essa gli scienziati hanno messo in luce che i bambini appena nati che si lamentano di più, sono quelli che una volta grandicelli a scuola impareranno più lentamente degli altri e otterranno voti nettamente inferiori alla media dei compagni. Ma cosa si nasconde dietro al pianto forsennato di alcuni infanti e al rischio che questi crescano con gravi deficit comportamentali? Secondo la psicoterapeuta corporea e sessuologa fiorentina Matelda Tagliaferri il problema risiede essenzialmente nell’ambiente che il bimbo incontra una volta venuto al mondo, e all’armonia o meno che in esso regna: “È necessario che si instauri un corretta ‘corrispondenza empatica’ tra i bimbi e i genitori – ha spiegato la studiosa italiana – nel senso che è indispensabile che una mamma o un papà sappiano comprendere le esigenze del proprio figlio, aldilà di quello che può apparentemente sembrare. Se ciò non accade il bimbo cresce con dei bisogni insoddisfatti che a lungo andare interferiscono negativamente sulle sue capacità intellettuali e cognitive”. Lo studio statunitense ha soprattutto posto in risalto il fatto che, bambini che durante l’infanzia non sono stati capiti correttamente, presentano un quoziente intellettivo addirittura di nove punti inferiore al livello standard per l’età di riferimento. “È un dato allarmante – ha continuato Tagliaferri – in particolare se si tiene conto del fatto che l’intelligenza umana non è solo un aspetto legato ai numeri e al ragionamento. Ma è soprattutto un modo per rapportarsi al mondo e saper raccogliere le opportunità che esso ci offre”. Infine i ricercatori hanno sottolineato che i motivi che inducono al pianto un neonato di solito non sono così difficili da comprendere. Semplicemente, come ha ammesso Tagliaferri, basterebbe rendersi conto della reale necessità di instaurare con il proprio piccolo una giusta ‘corrispondenza empatica’. Pertanto un bimbo può piangere per fame o sete: il pianto è breve o ritmico, sempre più intenso se il bambino non viene soddisfatto; per dolore: è un pianto disperato, inconsolabile, che può durare a lungo (anche ore), provoca sudorazione e viso paonazzo; per fastidio: se è stanco o annoiato il bambino piagnucola in modo lamentoso; per sfogo: a volte il bambino piange prima di addormentarsi. È un pianto che si attenua a poco a poco e serve a scaricare un po' di tensione.

Nessun commento: