venerdì 28 ottobre 2016

Il rischio sismico: in Italia e nel mondo

Le placche continentali

Si potrebbe pensare alle macchinine degli autoscontri che scivolano sulla pista e di tanto in tanto collidono. E' così che funziona la Terra. Le automobili sono i continenti, e la pista è rappresentata dall'astenosfera, la parte più superficiale del mantello terrestre; uno strato caratterizzato da moti particolari - detti convettivi - che interferisce con quelli rocciosi soprastanti, determinando il tipico dinamismo delle terre emerse. Così sono nate le montagne, così si sono formati i continenti. Una storia che prosegue da oltre quattro miliardi di anni, e ha portato a numerosi cambiamenti nelle caratteristiche strutturali del pianeta.

Duecento milioni di anni fa esisteva un unico blocco continentale, la Pangea, che iniziò a frantumarsi 180 milioni di anni fa, dividendosi in Laurasia e Gondwana. Dalla Laurasia si formarono l'Europa (e quindi l'Italia), il Nord America e l'Asia nord occidentale; dal Gondwana, Africa, Sudamerica, India e Australia. Oggi i continenti stanno continuando a scappare l'uno dall'altro, e già si prevede quel che potrà accadere fra 250 milioni di anni: la formazione della Pangea Ultima. Ancora un supercontinente. Il risultato della collisione fra Europa e Africa e dell'incontro/scontro fra Africa e Nord America. O potrebbe formarsi l'Amasia, dal confronto fra Asia e Nord America. L'Italia non ci sarà più, ma rimarranno le sue tracce sedimentarie intrappolate da qualche parte. Fra trecento milioni di anni, comunque, si tornerà a una nuova frammentazione, ciclo che continuerà a ripetersi finché il sole non esaurirà tutta la sua energia, trasformandosi in una gigante rossa e disintegrando (quasi) tutti i pianeti che gli girano intorno.

E i terremoti? Sono il motore di questi movimenti; con l'attività vulcanica, cui sono strettamente legati. A seguito dell'interazione fra le placche, infatti, i continenti si avvicinano o si allontanano, dando luogo alle aree di subsidenza e alle dorsali oceaniche. E' il succo della cosiddetta tettonica a zolle, interpretata per la prima volta dallo studioso tedesco Alfred Wegener nel 1912.

La tettonica a zolle: dorsali e aree di subduzione


Le prime riguardano lo scontro fra placche: una zolla s'insinua sotto l'altra, causando forti terremoti e potenti eruzioni. Si verifica in varie parti del mondo, ma l'esempio più efficace riguarda il punto di incontro fra la zolla delle Filippine e quella del Pacifico. 

Qui sorge la fossa delle Marianne, il punto oceanico più profondo della Terra, circondato da numerosi vulcani sottomarini. La zolla pacifica è molto vasta, e dall'Oceania finisce per lambire i confini della placca nordamericana, altra zona fortemente sismica. La famosa faglia di Sant'Andrea è ricordata per avere ospitato alcuni fra i più potenti terremoti mai registrati dall'uomo. Scorre per oltre mille chilometri, attraversando la California, e toccando città popolose come Los Angeles e San Francisco. Da tempo si parla del pericoloso Big One, il famigerato terremoto che secondo alcuni esperti potrebbe addirittura staccare la California dal continente.


In corrispondenza delle dorsali oceaniche, invece, nuova crosta terrestre viene prodotta; e i continenti, anziché scontrarsi, si allontanano. Sono catene montuose sottomarine che arrivano a caratterizzare i fondali oceanici per una lunghezza complessiva che supera i 60mila chilometri. Vere e proprie faglie che riemergono, sputando fuoco. Le Azzorre sono un esempio. L'Islanda, un altro. Anche in questo caso i terremoti - più superficiali che altrove - sono all'ordine del giorno e giustificano ancora una volta il lento ma inarrestabile cammino dei continenti.



Il caso italiano



Nella classifica dei paesi più sensibili all'attività sismica, l'Italia occupa i primi posti. Anche da noi, infatti, ci sono aree di subduzione che determinano periodici movimenti tellurici. La prima si trova in corrispondenza dell'incontro fra la zolla adriatica e la placca europea. La pressione che esercita verso settentrione, ha portato alla nascita delle Alpi. Ancora oggi è in piena attività e comporta lo spostamento del limite occidentale verso est di 40 millimetri l'anno. A sua volta la placca africana scivola sotto quella adriatica nei mari meridionali del Belpaese. E c'è l'arco calabro-peloritano, zona altamente sismica, delimitata da confini ancestralmente riconducibili alla geologia della Sardegna e della Corsica.


Alla luce di ciò si comprende perché in Italia si verificano ogni giorno dei terremoti. 

Le statistiche indicano che dei 1.300 eventi tellurici più significativi avvenuti nel secondo millennio nell'area mediterranea, cinquecento hanno interessato lo Stivale. Fortunatamente molti episodi sono così leggeri da essere percepiti solo dai sismografi (o da persone particolarmente sensibili); tuttavia può capitare che l'energia accumulata in una faglia possa essere tanto elevata da sprigionarsi in un solo colpo, causando scosse di forte intensità che possono provocare gravi danni e mettere a repentaglio la vita delle persone.  Quali sono le zone italiane più a rischio?

Il rischio geologico in Italia


Sicuramente tutta la zona dell'Italia centrale, dove si sono verificati i più recenti fenomeni sismici. La zona dell'Aquila, in Abruzzo, dove è avvenuto il terremoto del 6 aprile 2009, con 309 vittime. La scossa ha interessato tutto il centro Italia. Qualcosa di simile accadde nel 1915, ad Avezzano, con 33mila morti. Amatrice, il 24 agosto di quest'anno; in corrispondenza di una zona litologica interessata da una progressiva distensione degli Appennini, dovuta all'Adriatico che si muove verso nord est, in contrapposizione al movimento appenninico che guarda verso il Lazio.

Poco più a sud c'è l'Irpinia, segnata da un disastroso terremoto nel 1980. I geologi stimarono il coinvolgimento di più faglie che provocarono una scossa che durò novanta interminabili secondi. In Campania ci furono terremoti altrettanto violenti nel 1910 (Calitri) e nel 1962 (Ariano Irpino). A sud, in Sicilia, nel 1908 si ebbe un catastrofico sisma con la decimazione di gran parte della popolazione di Messina e di Reggio Calabria. I sismologi riferiscono oggi di una struttura a "graben", indicando una depressione geologica sede di numerosi eventi tellurici che progressivamente hanno allontanato la Sicilia dal continente; un punto nevralgico della tettonica italiana denominato "siculo-calabrian rift zone".

L'arco calabro-peloritano
Altra zona fortemente sismica è quella in corrispondenza delle faglie che caratterizzano il cuore del Friuli Venezia Giulia. Il 6 maggio 1976 si ebbe una scossa di 6,4 gradi della scala Richter, con gravissimi danni alle città di Udine e Pordenone e l'estrazione di 989 corpi senza vita dalle macerie. Responsabile, la placca adriatica, che spingendo verso nord, con una velocità di due millimetri all'anno, provocò più rotture di faglia, con lo sviluppo di una fra le più potenti scosse sismiche mai registrate in nord Italia.

Nessuna area immune dai terremoti? Forse un paio, ma nessuno metterebbe la mano sul fuoco. Si può citare il territorio compreso fra la Lombardia occidentale e il Piemonte orientale, e l'estremità meridionale della Puglia. Entrambi appartengono alla zona 4, con un rischio sismico giudicato "minimo". 

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