martedì 28 febbraio 2017

Il vulcano alle porte di Roma


Ariccia, Nemi, Valle Marciana, Albano. È qui che il terreno si sta alzando di un paio di millimetri all'anno. Gli studiosi ritengono che il fenomeno possa essere dovuto all'accumulo di magma nelle profondità della terra. Di cosa si tratta? Di un'area geografica che, di solito, parlando di vulcani, non viene presa in considerazione. Si discute, infatti, di Etna, che ha ripreso a brontolare pochi giorni fa; Vesuvio, che tace dal 1944; e Stromboli, con un'attività esplosiva che, di tanto in tanto, torna a farsi sentire; ma non di un complesso di coni vulcanici situato a pochi chilometri da Roma. Eppure qualcosa di strano sta succedendo a sud-est della capitale, in corrispondenza dei Colli Albani, distretto vulcanico che ha emesso lava l'ultima volta 36mila anni fa. Una data che, associata ai "rigonfiamenti" dei terreni limitrofi, induce gli scienziati a interrogarsi su un'attività geologica che, pur non destando preoccupazione (imminente), sollecita una vaga inquietudine. Perché gli studi effettuati da un secolo a questa parte hanno permesso di evidenziare un ciclo eruttivo periodico e preciso: ogni 36mila anni, circa, il vulcano ricomincia a farsi sentire. Una storia che prosegue ininterrottamente da 600mila anni. E che induce, appunto, i geologi a credere che ci sarà presto o tardi una nuova eruzione. Quando? Impossibile dirlo, ma parrebbe inevitabile.

Le più antiche eruzioni nella zona risalgono a quasi un milione di anni fa; ma il motore magmatico dei Colli Albani si è ufficialmente acceso 600mila anni fa, con la cosiddetta fase del Tuscolano-Artemisio. Domina la cultura acheuleana, con reperti provenienti da Amiens, in Francia, che attestano la presenza dell'Homo heidelbergensis, antenato dell'Uomo di Neanderthal. Le eruzioni proiettano in aria quantità enormi di materiale piroclastico, che si accumula dove nel 753 a.C. nascerà la città eterna. Sono tufi e pozzolane di cui i romani si serviranno per costruire le loro dimore. Ogni 30-45mila anni tutto tace, per poi riprendere come se nulla fosse successo. Passano altri 57mila anni e si entra nella fase delle Faete. Va da 400mila a 200mila anni fa. I vulcani laziali sputano cenere e lapilli, imitando l'esplosività dello Stromboli. Cambiano i connotati del paesaggio. Si alternano periodi glaciali e interglaciali. I ghiacci dell'emisfero boreale arrivano a coprire mezza Europa: al posto delle future Berlino e Amsterdam ci sono centinaia di metri di ghiaccio. Scompare l'Homo erectus e si affermano i neandertaliani. Ma l'Europa del sud è in controtendenza e al gelo del settentrione risponde con temperature incandescenti. Una colata di lava arriva dove sorgeranno i confini di Roma e il cammino dell'Appia, che verrà costruita proprio sul tracciato disegnato dal magma. 200mila anni fa inizia a sputare fuoco il cratere di Ariccia; poi entrano in azione quello di Nemi (150mila anni fa), al centro dei Colli Albani, e della Valle Marciana (100mila anni fa).

Oggi, dunque, si sta rimettendo tutto in moto e gli scienziati si interrogano sulle bizzarrie geologiche di quest'area; che non è riconducibile ad altri fenomeni vulcanici registrati nei millenni nel centro Italia. Qui, infatti, agiscono forze "compressive" che in pratica cicatrizzano le fratture della roccia sottostante, soffocando l'energia sprigionata dalle faglie e il magma proveniente dal mantello; che a lungo andare, però, spinge contro la crosta terrestre provocando nuove rotture, che predisporrebbero all'uscita della lava. Un'"inversione di rotta" che, di fatto, confrontandoci con l'ultima fase dell'Olocene (la subatlantica), è già avvenuta, su per giù 2mila anni fa; è dunque del tutto plausibile che a pochi chilometri da Roma una camera magmatica si stia riempiendo di nuovo materiale rovente, pronto a brillare in un futuro non troppo lontano; forse fra decine o centinaia di anni, che in termini geologici sono comunque inezie. Si parla infatti di ere per definire raggruppamenti geocronologici che risalgono agli albori della Terra, e che presuppongono cambiamenti geologici che non possono essere minimamente paragonati all'esistenza media di un uomo.  

E' presumibile supporre che il problema riguarderà i nostri discendenti che, preparati all'evento, avranno tutto il tempo per correre ai ripari. Anche a loro, infatti, si penserà durante i lavori che permetteranno nei prossimi mesi di mettere ulteriormente in luce quel che sta succedendo nel sottosuolo a sud est della città eterna. Si vuole, infatti, valutare con precisione il motivo dei rigonfiamenti del terreno nei dintorni di Roma; per poi, eventualmente predisporre un monitoraggio costante che, a differenza di quel che accade in sismologia, ci permetterà di prevedere con anticipo il prossimo patatrac naturale.

Vulcani sottomarini
E c'è un altro vulcano che non viene mai menzionato: il Marsili. Anche perché nessuno lo può vedere. Il suo cratere, infatti, risiede quattrocento metri sotto la superficie del mar Tirreno. Ma anche in questo caso il riferimento è a un complesso vulcanico - il più grande d'Europa - che potrebbe riaccendersi. L'hanno dimostrato dei movimenti tellurici avvenuti in risposta ai recenti terremoti appenninici. Si sono, infatti, registrate scosse di magnitudo 3,2 a 4 chilometri di profondità. Non si prevedono eruzioni imminenti, tuttavia il vulcano viene tenuto sotto osservazione, perché un'eventuale fuoriuscita di magma, potrebbe provocare un potente tsunami che si abbatterebbe sulle coste dell'Italia sud occidentale.

Il vapore dell'Etna
Ben più noto è invece l'Etna che pochi giorni fa ha prodotto un insolito spettacolo: gli anelli di fumo, tecnicamente noti come "aureole di vapore". Il vapore viene espulso da piccole fenditure del vulcano, e inizia a vorticare muovendosi verso l'alto alla velocità di un chilometro all'ora. L'Etna erutta frequentemente e mostra un'attività costante da migliaia d'anni a questa parte. È caratterizzato da quattro crateri principali, tre dei quali si sono formati dal 1911 a oggi. Nel 1610 le eruzioni proseguirono imperterrite per dieci anni, con l'emissione di oltre un miliardo di metri cubi di lava. L'ultima grande eruzione risale al 14 dicembre 1991.

Sos Vesuvio

A fare più paura di tutti però rimane il Vesuvio. Recentemente l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) ha rivelato che se dovesse esplodere coinvolgerebbe con ceneri e lapilli un’ampia area del territorio campano. Si alzerebbe in cielo una colonna eruttiva di 15-20 chilometri che poi ricadrebbe al suolo impattando sulle infrastrutture, causando gravi difficoltà respiratorie e inquinamento delle acque. Altri danni sarebbero provocati dalle colate piroclastiche capaci di raggiungere i 100km/h e dalle colate di fango che si protrarrebbero anche dopo la fase eruttiva. C’è però già pronto un piano di evacuazione che riguarderebbe 25 comuni, per un totale di 672.514 abitanti. 

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