venerdì 23 giugno 2017

Animali selvatici: boom di attacchi all'uomo


Invadiamo i loro territori. Ecco perché cominciano a ribellarsi. La fauna selvatica insorge perché l'uomo sta soffocando ogni habitat, compromettendo la sopravvivenza di numerose specie. L'ultimo episodio si è verificato poche ore fa nel Parco di Yellowstone, in Nord America. Una famiglia di orsi neri, una madre con i suoi tre piccoli, ha inseguito alcuni turisti obbligandoli a darsela a gambe e a trovare riparo all'interno della propria auto. Complice il gran caldo degli ultimi tempi, che ha scombussolato i ritmi dei plantigradi e attirato frotte di turisti. Gli ambientalisti puntano il dito sull'eccessivo sfruttamento dell'area naturale, che ogni anno viene presa d'assalto da quasi quattro milioni di visitatori. «Gli animali, specialmente le orse che hanno appena partorito, sono molto sensibili alla presenza umana», spiega Jack Hanna, direttore dello zoo di Columbus; e di fatto molte hanno iniziato a dare la caccia agli "scocciatori". Gli esperti raccomandano di non avvicinarsi troppo agli animali, per non interferire con la loro quotidianità e per permettergli di vivere al meglio la stagione più delicata. 

Qualcosa di simile si sta verificando in Africa e in India. Dove gli elefanti colpiti dalla caccia indiscriminata e dal restringimento del territorio per scopi agricoli, hanno cominciato a ribellarsi attaccando in modo plateale l'uomo. Nel 2013, durante un safari africano, dei turisti sono stati attaccati da un branco di elefanti infastidito dalla loro presenza. Non ci sono stati feriti, ma la jeep dei visitatori è stata distrutta dalla furia animale. Nello stesso periodo, sempre in Kenya, una turista americana e la figlia hanno perso la vita in seguito all'attacco di un elefante nei pressi dell'hotel in cui alloggiavano. E' la prova che gli animali non si limitano a difendere il proprio areale ma si spingono fino ai luoghi abitati, apparentemente consapevoli che il problema debba essere risolto alla radice. Il Time ha diffuso la notizia di un attacco mortale ai danni di Steve Irwin, un cacciatore di coccodrilli: aveva disturbato una razza durante le riprese per la registrazione di un documentario sulla barriera australiana. 

Simile il destino di un giovanissimo della Florida, divorato da un alligatore, mentre era a spasso lungo il Dead River. Sono casi eccezionali, ma gli scienziati lanciano l'allarme: se l'uomo continuerà a impattare in modo così spregiudicato e violento sull'ambiente, il fenomeno potrà solo aumentare rendendo pericolosa qualunque escursione nei territori "vergini". Le stime dicono che ogni anno almeno 100mila persone sono vittime di attacchi da parte di animali selvatici. L'uomo riesce spesso a scamparla, ma i numeri suggeriscono che si è già passata una certa soglia, e che è necessario valutare nuovi sistemi comportamentali per poter visitare luoghi incontaminati senza interferire pesantemente sulle specie autoctone. 

mercoledì 7 giugno 2017

I Signori degli anelli


Un tuffo nei misteriosi anelli di Saturno, a 124mila km/h. La sonda Cassini è riuscita nell'intento di penetrare la coltre di polveri e detriti che circonda uno dei più spettacolari pianeti del sistema solare, per fare luce sulla loro natura. E' la sua ultima missione: il 15 settembre 2017 compierà, infatti, un viaggio di non ritorno verso il cuore del corpo celeste, dopo venti anni di onorata carriera. Le foto che ha spedito parlano di un'atmosfera saturniana più calda del previsto e di un gigantesco uragano in corrispondenza del polo nord del pianeta, dove soffiano venti ad altissima velocità. La missione permette, dunque, di riconsiderare la storia e le caratteristiche degli anelli planetari. Di cosa si tratta? Sono polveri, detriti, cristalli di ghiaccio, massi, che orbitano intorno a un pianeta, proprio come fa un satellite soggetto alle leggi kepleriane. Si pensa che siano appannaggio di Saturno, ma non è così. Senza dubbio a ridosso del sesto pianeta del sistema solare risultano particolarmente visibili, tuttavia sono una prerogativa anche degli altri giganti gassosi: Giove, Urano e Nettuno. E da poco si ipotizza che possano rappresentare anche lune e asteroidi. Uno studio pubblicato nel 2008 da Geraint Jones, dell'University College di Londra, a capo del team che coordina le operazioni di Cassini, racconta di Rhea, un satellite di Saturno, di appena 1.500 chilometri di diametro; intorno al quale orbiterebbero detriti e polveri, a circa 6mila km dal cuore della luna saturniana. Così accadrebbe in prossimità di Chariklo, fra i più importanti dei Centauri, asteroidi che danzano intorno a Giove e Saturno; un tempo comete, ma oggi potenzialmente caratterizzati da sottili anelli di materiale roccioso.

Che siano pianeti, satelliti o asteroidi, la formazione di anelli parrebbe dovuta a due fenomeni: la collisione fra oggetti del sistema solare o la distruzione di un corpo celeste dovuta al superamento del cosiddetto "limite di Roche". Il primo caso si riferisce all'impatto fra due corpi celesti. La storia dell'astronomia è ricca di eventi di questo tipo. La Luna potrebbe essersi generata in questo modo, e anche l'asse tanto inclinato di Urano (di 98 gradi, contro i 23 gradi terrestri) potrebbe derivare da uno scontro fra titani cosmici. Se, però, non si genera un satellite e non si instaura un piano di rotazione anomalo, l'urto potrebbe determinare la nascita dei caratteristici anelli che seguono un'orbita precisa, obbedendo alla forza di gravità. Un oggetto qualunque proveniente dai confini del sistema solare può impattare sulla superficie di un normale corpo celeste; e il risultato può essere la disintegrazione dell'oggetto più piccolo che, ridotto in frammenti, finisce per essere catturato dal campo gravitazionale del corpo di dimensioni maggiori, trasformandosi in uno o più anelli. Il limite di Roche, invece, prende il nome dallo scienziato Edouard Albert Roche, nato a Montpellier il 17 ottobre 1820. Si occupò di Saturno e il suo lavoro è ancora oggi ricordato per le conclusioni relative al mistero degli anelli saturniani. Indicò un limite chilometrico oltre il quale un satellite non è più in grado di mantenere la sua stabilità. Pensiamo alla Luna. Se il suo piano orbitale dovesse abbassarsi sempre più, finirebbe per essere "triturata" dalla gravità terrestre; significa che le forze di coesione (che tengono insieme gli elementi di un corpo) verrebbero meno, a vantaggio di quella gravitazionale (o meglio, delle "forze di marea", effetto secondario della forza di gravità). Si presume che sarà quello che accadrà a Phobos, satellite di Marte, fra cinquanta milioni di anni.

Dunque, gli anelli di Saturno e degli altri pianeti gassosi potrebbero derivare dal disequilibrio fra forze differenti, che alla fine impedirebbero a una luna di continuare a girare intorno a un pianeta o addirittura ne comprometterebbero fin dall'inizio la sua formazione. Oltre il limite di Roche, invece, le condizioni consentono ai detriti di compattarsi e formare un satellite; così si sono formati la Luna (distante dalla Terra 384mila chilometri), Europa, Io, Ganimede, Titano. Il limite di Roche varia pertanto da pianeta a pianeta. Giove lo possiede a 175mila chilometri di distanza dalla superficie; Nettuno a 59mila. Altra particolarità: in prossimità degli anelli possono presentarsi dei "satelliti pastore", strettamente legati alla sopravvivenza degli anelli planetari; interferiscono con essi a livello gravitazionale e consentono la formazione di spazi chilometrici fra uno strato detritico e l'altro. Prometeo e Pandora sono due esempi, in corrispondenza dell'anello più esterno di Saturno, spesso non più di cento chilometri. Entrambi scoperti nel 1980 dalla sonda Voyager, presentano una forma schiacciata e una superficie porosa, e ogni quindici ore si avvicinano o allontanano dalle polveri. Lo stesso fenomeno è riscontrabile su Giove e Urano con i satelliti pastore Metis, Adrastea, Cordelia e Ofelia. Cambia tutto però se si considera uno degli enigmi più intriganti dell'astronomia: le stelle doppie. Sono corpi celesti che brillano di luce propria e che, in pratica, orbitano uno intorno all'altro. In questo caso non sussiste un vero limite di Roche poiché le masse dei due soli possono fondersi fra loro, scambiandosi parti di materia.  

Occhio alla cometa
Altrettanto affascinanti sono le comete, oggetti spaziali che girano intorno al sole compiendo tragitti fortemente ellittici. Ed è questo un periodo dell'anno propizio per la loro osservazione. Ad aprile è arrivata la cometa 41P/Tuttle-Giacoini-Kresak e nella prima settimana di giugno sarà la volta della Johnson C/2015V2. Quest'ultima potrà essere vista fino a luglio anche dall'Italia con un semplice binocolo, e sarà riconoscibile per il colore verde brillante che contraddistingue la sua scia. Si muove a 120 milioni di chilometri dalla Terra e il 12 giugno sarà alla minima distanza dal sole (a 245 milioni di chilometri).

Il respiro della cometa
Anche questi corpi celesti hanno un loro modo di "respirare". In certe situazioni, infatti, emettono ossigeno, elemento strettamente legato al metabolismo degli organismi aerobi. Si è visto che transitando vicini al sole liberano vapore acqueo che, sottoposto all'azione dei raggi ultravioletti, si trasforma in atomi carichi elettricamente (ioni). Contemporaneamente il vento solare (lo stesso che genera le aurore boreali) interagisce con l'ossigeno dell'acqua allo stato gassoso, consentendole di legarsi a un altro elemento con lo stesso numero di elettroni e protoni, generando una molecola di ossigeno biatomico. La stessa prodotta dal meccanismo della fotosintesi clorofilliana che consente la vita sulla Terra da 3,5 miliardi di anni.

Il pianeta bollente

Nel frattempo non si placa la rincorsa al pianeta extrasolare più bizzarro. L'ultimo è un corpo che ruota intorno alla sua stella ogni due giorni; un astro relativamente giovane, di "appena" 1,3 miliardi di anni. E' un pianeta bollente, per via della straordinaria vicinanza alla stella, battezzato WASP-167b/KELT-13b e di dimensioni poco superiori a quelle di Giove. La scoperta è avvenuta grazie agli studiosi della Keele University di Newcastle al lavoro presso il South African Astronomical Observatory. Si è giunti alla sua individuazione tramite la consueta "analisi del transito", basata sull'osservazione indiretta del pianeta che provoca piccole eclissi facilmente perscrutabili dai nostri telescopi.